Authors: Dante
diventa in apparenza poco e scuro,
se in mano al terzo Cesare si mira
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con occhio chiaro e con affetto puro;
ché la viva giustizia che mi spira,
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li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
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gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:
poscia con Tito a far vendetta corse
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de la vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
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la Santa Chiesa, sotto le sue ali
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Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali
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ch’io accusai di sopra e di lor falli,
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che son cagion di tutti vostri mali.
L’uno al pubblico segno i gigli gialli
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oppone, e l’altro appropria quello a parte,
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sì ch’è forte a veder chi più si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
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sott’ altro segno, ché mal segue quello
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sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non l’abbatta esto Carlo novello
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coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
Molte fïate già pianser li figli
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per la colpa del padre, e non si creda
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che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
Questa picciola stella si correda
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d’i buoni spirti che son stati attivi
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perché onore e fama li succeda:
e quando li disiri poggian quivi,
sì disvïando, pur convien che i raggi
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del vero amore in sù poggin men vivi.
Ma nel commensurar d’i nostri gaggi
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col merto è parte di nostra letizia,
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perché non li vedem minor né maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia
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in noi l’affetto sì, che non si puote
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torcer già mai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;
così diversi scanni in nostra vita
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rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro a la presente margarita
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luce la luce di Romeo, di cui
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fu l’ovra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzai che fecer contra lui
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non hanno riso; e però mal cammina
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qual si fa danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
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Romeo, persona umìle e peregrina.
E poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto,
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indi partissi povero e vetusto;
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e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto,
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assai lo loda, e più lo loderebbe.”
Così, volgendosi a la nota sua,
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fu viso a me cantare essa sustanza,
ed essa e l’altre mossero a sua danza,
e quasi velocissime faville
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mi si velar di sùbita distanza.
Io dubitava e dicea “Dille, dille!”
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fra me, “dille” dicea, “a la mia donna
Ma quella reverenza che s’indonna
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di tutto me, pur per
Be
e per
ice
,
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mi richinava come l’uom ch’assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice
e cominciò, raggiandomi d’un riso
“Secondo mio infallibile avviso,
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come giusta vendetta giustamente
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punita fosse, t’ha in pensier miso;
ma io ti solverò tosto la mente;
e tu ascolta, ché le mie parole
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di gran sentenza ti faran presente.
Per non soffrire a la virtù che vole
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freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,
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dannando sé, dannò tutta sua prole;
u’ la natura, che dal suo fattore
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s’era allungata, unì a sé in persona
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con l’atto sol del suo etterno amore.
Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:
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questa natura al suo fattore unita,
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qual fu creata, fu sincera e buona;
ma per sé stessa pur fu ella sbandita
di paradiso, però che si torse
La pena dunque che la croce porse
s’a la natura assunta si misura,
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nulla già mai sì giustamente morse;
e così nulla fu di tanta ingiura,
guardando a la persona che sofferse,
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in che era contratta tal natura.
Però d’un atto uscir cose diverse:
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ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
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per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
Non ti dee oramai parer più forte,
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quando si dice che giusta vendetta
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poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi’ or la tua mente ristretta
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di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
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del qual con gran disio solver s’aspetta.
Tu dici: ‘Ben discerno ciò ch’i’ odo;
ma perché Dio volesse, m’è occulto,
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno
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ne la fiamma d’amor non è adulto.
Veramente, però ch’a questo segno
molto si mira e poco si discerne,
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dirò perché tal modo fu più degno.
La divina bontà, che da sé sperne
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ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
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sì che dispiega le bellezze etterne.
Ciò che da lei sanza mezzo distilla
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non ha poi fine, perché non si move
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la sua imprenta quand’ ella sigilla.
Ciò che da essa sanza mezzo piove
libero è tutto, perché non soggiace
Più l’è conforme, e però più le piace;
ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,
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ne la più somigliante è più vivace.
Di tutte queste dote s’avvantaggia
l’umana creatura, e s’una manca,
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di sua nobilità convien che caggia.
Solo il peccato è quel che la disfranca
e falla dissimìle al sommo bene,
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per che del lume suo poco s’imbianca;
e in sua dignità mai non rivene,
se non rïempie, dove colpa vòta,
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contra mal dilettar con giuste pene.