Bombardare la loro capitale ci coinvolgerebbe in una guerra per la quale non siamo equipaggiati. Thomas?
Cosa ne pensate?”
“Circondare un villaggio come Hodogaya, eliminare poche centinaia di selvaggi e mettere un potentato indigeno di nessun peso a ferro e fuoco è molto diverso dal cercare di distruggere questa grande città e assediare il castello.”
Con tono feroce sir William ribatté: “Allora cosa ne dite del vostro “non esiste alcuna operazione che le forze al mio comando non possano concludere velocemente”?”.
Il generale arrossì.
“Ciò che si dice in pubblico come ben sapete ha poca relazione con la realtà dei fatti. Come ben sapete! Edo è un'altra questione.”
“Esattamente.” L'ammiraglio finì il liquore.
“Cosa proponete dunque?”
In tutta risposta non ottenne che un ostinato silenzio.
Dopo qualche istante lo stelo del calice di sir William si ruppe tra le sue dita facendo sobbalzare gli altri due.
“Dannazione!” esclamò, un pò più tranquillo dopo quel piccolo gesto distruttivo. Cercò di asciugare il vino con un tovagliolo.
“Qui il ministro sono io. Se ritenessi necessario dare un ordine al quale vi rifiutate di obbedire, cosa che naturalmente avete il diritto di fare, chiederò che veniate sostituito immediatamente.”
Il collo dell'ammiraglio si imporporò.
“Ho già esposto i fatti all'ammiragliato. Ma vi prego di non fraintendermi.
Sono più che pronto a scatenare una rappresaglia per l'uccisione del signor Canterbury e degli altri uomini.
Se si tratta di distruggere Edo però esigo un ordine scritto, come vi ho già ripetuto fino alla nausea. Non c'è fretta, adesso o tra tre mesi questi selvaggi pagheranno con questa città o altre cento.”
“Sì, pagheranno, per Dio!” Sir William si alzò.
“Devo dire un'altra cosa importante prima che ve ne andiate: non prometto di poter restare ancora a lungo all'ancora. La flotta non è protetta, il mare è pericolosamente basso, il tempo peggiorerà e siamo più sicuri a Yokohama.”
“Per quanto tempo potete resistere?”
“Un giorno... non so, non ho potere sul tempo, che oltretutto in questo mese, come certo sapete, è piuttosto instabile.”
“Sì, lo so. Bene, vado. Ci incontriamo alle dieci alla Legazione. Vi prego di sparare un colpo di saluto all'alba. Thomas, potete mandare altri duecento dragoni a proteggere l'area intorno alla banchina?”
“Perché altri duecento uomini?” chiese il generale. “Ho già fatto sbarcare una compagnia.”
“Può darsi che abbia voglia di prendere degli ostaggi. Buonasera.” Chiuse la porta senza far rumore.
I due uomini restarono a guardarsi sbigottiti. “Intendeva davvero dire quello che ha detto?”
“Non lo so, Thomas. Ma con l'onorabile e impetuoso William accidenti Aylesbury non si sa mai.” Con il favore delle tenebre un distaccamento di samurai armati fino ai denti uscì dal cancello principale del castello, di corsa e senza far rumore attraversò il ponte levatoio e l'altro ponte sull'enorme fossato e si diresse verso la zona dove sorgeva la Legazione e dove stavano convergendo altre compagnie.
Sul luogo vi erano già oltre duemila samurai, e altri mille erano pronti a muoversi.
Sir William arrivava lentamente dal molo in compagnia della sua scorta, un ufficiale e dieci highlander, attraverso le strade deserte. Era stanco e depresso, preoccupato per l'indomani e assillato dalla necessità di escogitare un modo per uscire da quel vicolo cieco. Svoltarono dietro un altro angolo e proseguirono.
Alla fine della strada c'era lo spazio aperto davanti alla Legazione.
“Mio Dio, signore, guardate là!” Una folla di samurai silenziosi li stava osservando. Erano immobili, armati con spade, archi, lance e persino qualche moschetto. Un rumore leggero fece sobbalzare la scorta di sir William; si girarono a guardare.
La ritirata era bloccata da un altro gruppo di samurai silenziosi.
“Cristo!” mormorò il giovane ufficiale.
“Già.” Sir William sospirò.
Quella poteva essere una soluzione, ma poi avrebbero avuto bisogno dell'aiuto di Dio perchè almeno in quel caso la reazione della flotta sarebbe stata immediata.
“Andiamo avanti. Tenete gli uomini pronti a sparare se necessario, sicure alzate.”
Camminò davanti al gruppo.
Più che coraggioso si sentiva distaccato dalla realtà, osservava se stesso e gli altri dall'alto.
I samurai erano divisi in due schiere che lasciavano uno stretto varco nel sentiero alla cui estremità li aspettava un ufficiale.
Quando sir William arrivò a circa tre metri da lui l'uomo s'inchinò cortesemente. Sir William si osservò alzare il cappello con uguale cortesia e proseguire. I soldati lo seguirono con i fucili in pugno, il dito sul grilletto.
Lungo la salita che portava alla sommità della collina il silenzio era lo stesso, uguali gli sguardi dei giapponesi. Una massa di samurai immobili che arrivava fino al cancello.
Il cortile e i giardini erano affollati di highlander armati, altri soldati erano appostati sul tetto e alle finestre.
I soldati aprirono il cancello per far passare sir William e la sua scorta e lo richiusero. Tyrer e il resto del personale aspettavano nell'ingresso; qualcuno era in vestaglia, qualche altro parzialmente vestito. Tutti gli si affollarono intorno.
“Mio Dio, sir William” esclamò Tyrer a nome di tutti.
“Temevamo che vi avessero catturato.”
“Da quanto tempo sono li?”
“Più o meno da mezzanotte, signore” rispose un ufficiale. “Avevamo delle sentinelle ai piedi della collina e quando il nemico è arrivato i ragazzi sono venuti ad avvisarci. Non c'era modo di avvertirvi o di comunicarlo alle navi. Se aspettano l'alba per attaccare possiamo difendere questo posto fino all'arrivo di rinforzi, se la flotta ci copre.”
“Bene” rispose sir William con grande sangue freddo, “in questo caso consiglio a tutti di andare a dormire. Lasciate qualche uomo di guardia e tutti gli altri vadano a riposare.”
“Signore?” l'ufficiale era perplesso.
“Se avessero voluto attaccarci l'avrebbero già fatto senza tutta quella messinscena delle ore di silenzio.” Sir William vide che tutti lo fissavano e si sentì meglio, non era più depresso. Imboccò le scale. “Buonanotte.”
“Ma, signore, non pensate...” Non finì nemmeno la frase.
Il ministro sospirò.
“Se preferite tenere gli uomini svegli fatelo pure, se la cosa vi rende felice.”
Un sergente si precipitò nell'ingresso gridando: “Signore, se ne vanno!
Quegli infami se la squagliano”.
Gettando un'occhiata dalla finestra del pianerottolo sir William vide che i samurai stavano effettivamente scomparendo nella notte.
Per la prima volta ebbe paura.
Non aveva previsto quella mossa.
Nel giro di pochi minuti il sentiero sulla collina si svuotò e lo spiazzo sottostante fu sgombro come al solito.
Tuttavia sir William aveva la sensazione che non fossero andati lontano, che ogni porta e ogni strada fosse zeppa di nemici che aspettavano il momento di far scattare la trappola.
Grazie a Dio gli altri ministri e la maggior parte dei ragazzi sono al sicuro sulle navi.
Grazie a Dio, pensò riprendendo a salire le scale con passo fermo per incoraggiare gli uomini che non lo perdevano d'occhio.
Capitolo 11
†
Giovedì, 18 settembre
La Locanda dei Quarantasette Ronin sorgeva poco lontano dal castello di Edo in un sudicio vicolo dietro la strada sterrata.
La locanda, ben nascosta agli sguardi indiscreti da un alto steccato pericolante, vista dall'esterno aveva un aspetto malconcio e anonimo, ma una volta dentro ci si trovava in un ambiente lussuoso e raffinato.
Giardini ben tenuti circondavano l'ambiente principale e le casette sopraelevate a una stanza, riservate agli ospiti di riguardo desiderosi di solitudine.
La locanda, generalmente frequentata da ricchi mercanti, era anche utilizzata dagli shishi, che, con discrezione, la usavano come rifugio.
In quei minuti che precedevano l'alba era immersa nel più profondo silenzio; clienti e cortigiane, mama-san, cameriere e inservienti dormivano.
Tutti, ad eccezione di un gruppo di shishi intenti ad armarsi.
Ori sedeva sulla veranda di una delle casette con il kimono arrotolato intorno alla vita.
Cercava con difficoltà di rifare la fasciatura alla spalla; la carne intorno alla ferita aveva assunto una tonalità scarlatta, doleva ed era diventata sensibilissima.
Tutto il braccio sembrava pulsare e Ori sapeva di avere un bisogno immediato dell'intervento di un dottore.
Tuttavia aveva detto a Hiraga che mandarlo a chiamare o andare a farsi visitare costituiva un grosso pericolo: “Potrei essere seguito, non possiamo rischiare con tutte le spie che circolano in questa roccaforte Toranaga”.
“La penso come te. Tornatene a Kanagawa.”
“Quando la missione sarà finita.” Sfiorò inavvertitamente con le dita la ferita in suppurazione e una fitta lancinante lo attraversò. Non c'è fretta, si disse, un dottore potrà sempre inciderla e toglierne il veleno, ma ci credeva solo in parte. Karma. E se peggiorerà sarà sempre questione di karma. Era così assorto che non sentì un ninja scivolare oltre lo steccato e assalirlo alle spalle.
Sobbalzò terrorizzato quando la mano del ninja gli coprì la bocca per impedirgli di gridare. “Sono io” sussurrò Hiraga furioso prima di lasciare la presa. “Avrei potuto ucciderti venti volte.”
“Sì.” Ori si sforzò di sorridere e indicò tra i cespugli il samurai con l'arco e una freccia avvelenata già incoccata. “Ma tocca a lui fare la guardia, non a me.”
“Bene.” Hiraga salutò la sentinella e rabbonito si sfilò la maschera.
“Gli altri sono pronti, Ori?”
“Sì.”
“E il braccio?”
“Va bene.”
Ori trattenne il respiro e strinse i denti quando la mano di Hiraga gli afferrò la spalla. Le lacrime gli rigarono le guance ma non emise neppure un gemito.
“Ci saresti d'intralcio. Non puoi venire con noi. Tu te ne torni a Kanagawa.”
Hiraga entrò passando dalla veranda.
Abbattuto, Ori lo seguì.
Sul tatami sedevano già undici shishi armati. Nove erano compatrioti di Hiraga, gli altri due erano gli uomini della pattuglia mori che avevano disertato per unirsi a loro.
Hiraga prese stancamente posto.
“Non sono riuscito ad arrivare a meno di duecento passi dal tempio o dalla Legazione, perciò non possiamo sparare al principe Yoshi al momento del suo arrivo, è impossibile. Dobbiamo preparare un'imboscata altrove.”
“Scusa, Hiraga-san, ma sei proprio certo che si trattasse del principe Yoshi?” chiese uno dei samurai mori.
“Sì, ne sono sicuro.”
“Stento a credere che un uomo come il principe Yoshi corra il rischio di uscire dal castello scortato da poche guardie soltanto per incontrare qualche puzzolente gai-jin, anche se travestito. E' troppo intelligente, e di certo sa di essere nell'obiettivo degli shishi subito dopo lo shògun e prima del traditore Anjo.”
“Forse non è intelligente. Comunque l'ho riconosciuto e sono certo di non sbagliare perchè l'avevo già incontrato a Kyòto.” In cuor suo Hiraga non si fidava affatto dei samurai mori, “Qualunque sia stata la ragione che la spinto a uscire è certo che non tornerà una seconda volta senza una scorta imponente. E per questo motivo che la zona pullula di uomini della Bakufu. Comunque domani lascerà ancora il castello: è un'occasione che non dobbiamo perdere. Possiamo tendergli un'imboscata da qualche parte? Qualcuno ha un'idea?”
“Dipende dal numero di uomini che seguono il corteo” rispose un samurai mori, “se l'incontro dai gai-jin avrà luogo.”
“Se? Il principe Yoshi potrebbe escogitare uno stratagemma?”
“Io, lo farei se fossi in lui. Lo chiamano la Volpe.”
“Cosa faresti?” L'uomo si grattò il mento. “Cercherei a tutti i costi il modo di prendere tempo.” Hiraga corrugò la fronte. “E se invece andasse alla Legazione, come ieri, in quale punto del percorso sarebbe più vulnerabile?” Fu Ori a rispondere: “Quando scende dal palanchino. Nel cortile anteriore”.
“Non possiamo arrivare fin lì nemmeno con una incursione suicida.” Scese il silenzio. Poi Ori disse a bassa voce: “Più saranno vicino alle porte del castello più i suoi capitani si sentiranno al sicuro e allenteranno la vigilanza”.
Hiraga annuì soddisfatto e gli sorrise facendo nel frattempo un cenno a uno dei suoi compatrioti. “Quando la casa si sveglia, di' alla mama-san che deve trovare in gran segreto e in gran fretta un dottore per Ori.”
“Ma avevamo deciso che non era sicuro.”
“Il patrimonio degli shishi deve essere protetto, e tu mi fornisci spesso delle ottime idee.” Ori accettò il complimento con un inchino.
“Meglio farsi dare un'occhiata, neh?“
Alle prime luci Phillip Tyrer si affrettava verso la banchina seguito da due highlander, un sergente e un soldato semplice.
“Buon Dio, Phillip, due uomini sono più che sufficienti” gli aveva detto sir William.
“Se i giapponesi intendono fregarci non basterà l'intera guarnigione a proteggervi. Il messaggio dev'essere consegnato a Ketterer e voi glielo consegnerete. Arrivederci!” I samurai erano tornati in silenzio poco prima dell'alba e Tyrer fu costretto a passare in mezzo a loro come sir William poche ore prima.
Nessuno lo molestò né sembrò rendersi conto della sua presenza; ricevette soltanto qualche occhiata distratta e veloce. Il mare era di fronte a lui. Accelerò il passo. “Alt, chi va là, o vi faccio saltare le cervella” minacciò una voce nell'ombra. Tyrer si fermò di scatto.
“Per carità” rispose morto di paura, “chi diavolo pensi che sia? Sono io, Phillip Tyrer, con un messaggio urgente per l'ammiraglio e per il generale.”
“Scusate, signore.” Tyrer si affrettò a salire a bordo della lancia e venne portato a remi fino all'ammiraglia. Era così felice d'essere sfuggito alla trappola della Legazione che sarebbe scoppiato a piangere volentieri. Incitò i marinai a remare di buona lena e sali sulla scaletta dell'ammiraglia due gradini alla volta.
“Salve Phillip!” Marlowe era l'ufficiale di guardia sul ponte. “Che cosa diavolo succede?”
“Salve John, dov'è l'ammiraglio? Un dispaccio urgente da sir William. La Legazione è circondata da migliaia di bastardi musi gialli.”