“Quando si è calmata un pò le ho detto che Tyler si era poi dichiarato d'accordo con il suggerimento di Morgan di nominarmi direttore della filiale di Yokohama, in prova per un anno e con un'infinità di minacce in caso di insuccesso. Tess mi ha chiesto quanto avrei guadagnato. “Perfetto.
Ufficialmente saremo nemici, ma in segreto saremo stretti alleati e se la Brock and Sons sparirà per sempre, come prego Dio che accada, la vostra Rothwell-Gornt ne prenderà il posto.”
Questo è più o meno tutto, Angélique, oltre al fatto che ha deciso di rimandare qui Hoag con una lettera per voi.” Il bourbon adesso gli sembrava più gradevole.
“Non le ho chiesto quale fosse il contenuto della lettera né vi ho difeso direttamente; mi sono invece limitato a ripetere in vari modi che se la mia strategia si fosse dimostrata utile per distruggere la Brock avrebbe dovuto ringraziare anche voi. Che cosa diceva la sua lettera?” Angélique gliela porse.
“Balle di cotone piene di sterco” commentò lui restituendogliela.
“Ma dimostra che Tess è disposta a scendere a patti, è evidente che sono riuscito a convincerla che deve ringraziare anche voi. Sono stato ai patti. Vincerete.”
“Vincerò? Non mi manderà in tribunale?”
“Non vi manderà in tribunale e vi darà dei soldi. Ammette di esservi debitrice.”
“Sì, ma a parte questo non fa che minacciarmi.”
“Abbiamo alcuni assi nella manica.”
“E quali?” Sentirono delle voci all'esterno.
“Il tempo, per esempio. Questa sera vi inviterò a cena, niente di formale, così potremo parlare e...”
“Ma non alla Brock e non da soli. Dobbiamo stare attenti” si precipitò a dire Angélique. “Per favore, invitate anche Dmitri e Marlowe.
Occorre stare molto attenti, Edward, fingere di non essere tanto amici, lei si insospettirebbe e verrebbe di sicuro a saperlo perchè Albert è decisamente dalla sua parte. Se questa sera non riusciremo a parlare domattina uscirò alle dieci per fare una passeggiata e potremo continuare...”
Per evitare che lui la abbracciasse, come sembrava sul punto di fare, lo baciò su una guancia e gli porse una mano ringraziandolo affettuosamente.
Non appena fu sola nel boudoir si abbandonò ai suoi pensieri. A quali assi si riferisce? E perchè quello strano sorriso? Che cosa avrà concordato con Tess? Mi sta nascondendo qualcosa? In effetti la lettera dimostra che è riuscito a convincerla del mio intervento, è un dato importante. Sono forse troppo diffidente? Come avrei voluto essere presente all'incontro!
Poi la sua mente ricominciò a oscillare ossessiva tra il sì e il no di una possibile gravidanza. Temendo di impazzire un giorno ne aveva persino parlato a Babcott, ma il dottore le aveva risposto: “Siate paziente, non preoccupatevi”.
Per un attimo si chiese se Babcott e Tyrer sarebbero riusciti a tornare da Eco e a sfuggire alla trappola nemica in cui si erano cacciati con l'approvazione di sir William.
Cosa ne possono sapere gli uomini, con tutte le loro sciocchezze sulla pazienza, le loro fandonie e le loro false priorità?
Nelle sue stanze del castello di Edo, Yoshi era ansioso e irritabile.
In tarda mattinata ancora non aveva notizie della visita del dottore gai-jin al tairò.
Quando il giorno prima era tornato a Edo da Kanagawa con Babcott e Tyrer li aveva fatti alloggiare nel palazzo di un daimyo fuori dalle mura del castello, fornito di personale e circondato da guardie fidate per maggior sicurezza.
Subito dopo aveva invitato Anjo per la visita.
Il tairò era arrivato con il seguito di guardie del corpo in un anonimo palanchino coperto. L'attentato contro di lui avvenuto ad appena cento metri, l'attacco shishi sferrato contro lo shògun Nobusada, le diverse insidie cui era sfuggito Yoshi, avevano indotto gli Anziani ad aumentare le cautele. Yoshi si era inchinato più profondamente degli altri ridacchiando tra sé alla vista di Anjo piegato dal dolore e costretto a farsi aiutare.
“Tairò, ti presento il dottore gai-jin, Babcott, e l'interprete Fillip Taira.” Anjo guardò Babcott con un'espressione sciocca. “Eeeh, è davvero alto come un albero! E' altissimo, eeeh, un mostro! Il suo pene sarà proporzionato all'altezza?” Poi guardò Phillip Tyrer e scoppiò a ridere: “Capelli di paglia, faccia da scimmia, occhi azzurri come un maiale e un nome giapponese. Taira è uno dei vostri nomi di famiglia, Yoshi-dono, neh?”.
“Sì, si pronuncia quasi allo stesso modo” tagliò corto Yoshi, poi si rivolse a Tyrer: “Quando la visita sarà finita mandate questi due uomini ad avvisarmi”. Indicò Misamoto, il pescatore, sua spia e falso samurai, e la guardia che lo accompagnava sempre con la consegna di non lasciarlo solo con i gai-jin nemmeno un istante. “Anjo-dono, credo che la tua salute sia in buone mani.”
“Grazie per aver organizzato questa visita. Ti rimanderò il dottore quando mi farà piacere, non c'è bisogno che lasci qui questi due né nessun altro...” Yoshi era rimasto in ansia tutta la notte. Adesso la sua stanza era cambiata, cancellata ogni traccia di Koiko aveva un aspetto ancora più austero.
Due guardie erano in piedi alle sue spalle e altre due ai lati della porta. Con un moto di irritazione si alzò, andò alla finestra e si sporse sul davanzale.
In lontananza, vicino alla cerchia più interna, intravide il palazzo del daimyo. A parte le guardie del tairò non si notavano presenze umane né segni di attività. Oltre i tetti di Edo vide il mare, il fumo di alcuni mercantili e più al largo una nave da guerra diretta a Yokohama.
Che cosa trasporterà? si chiese. Fucili, soldati, cannoni? Che tiro staranno preparando?
Per calmare i nervi tornò al tavolo e riprese l'esercizio di calligrafia.
Di solito funzionava, ma quella mattina non gli dava alcuna pace. Sulla carta apparivano come dal nulla gli inconfondibili tratti del pennello di Koiko e per quanto si sforzasse di scacciarlo, il volto di lei continuava ad affacciarsi alla mente.
“Baka!” esclamò giacché aveva commesso un errore che vanificava un'ora di lavoro.
Gettò il pennello sul pavimento macchiando d'inchiostro il tatami. Le guardie, a disagio, cambiarono posizione e Yoshi imprecò contro quel momento di debolezza. Devi controllare i ricordi, devi.
Dopo quel giorno maledetto Koiko io perseguitava. Il ricordo del colpo fatale con cui le aveva tagliato senza sforzo il collo sottile e il rimorso per essere fuggito invece di restare ad accendere la pira ossessionavano le sue notti fredde e solitarie.
Ma non desiderava una donna diversa a confortarlo, quel tradimento aveva spazzato via desideri e illusioni. Non esistevano scuse per giustificare Koiko, che aveva introdotto nelle sue stanze private Sumomo, una guerriera, continuava a ripetersi, nessuna scusa. Certo Koiko doveva sapere chi fosse. Nessuna scusa, nessun perdono, anche se si era sacrificata offrendosi allo shuriken che lo avrebbe ucciso. Non si sarebbe mai più fidato di una donna, a eccezione, forse, di sua moglie e della sua concubina.
Tuttavia non aveva mandato a chiamare nessuna delle due e si era limitato a scrivere a entrambe di aspettare, di prendersi cura dei figli e di continuare a custodire il castello.
Neppure la vittoria sui gai-jin era stata motivo di vera gioia sebbene costituisse un enorme passo avanti di cui gli Anziani sarebbero stati entusiasti. Persino Anjo.
Quanto sarà grave la malattia di quel cane? Spero mortale. Il gigante riuscirà a curarlo con la sua magia o devo credere al dottore cinese che ha previsto per lui una morte prossima? Secondo Inejin non sbaglia mai.
Non importa. Anjo, malato o no, adesso mi ascolterà, e anche gli altri finalmente accetteranno le mie proposte.
Perché no?
gai-jin sono intrappolati e la loro flotta non rappresenta più una minaccia, Sanjiro è condannato a morte per mano dei gai-jin e Ogama se ne sta soddisfatto a Kyòto. Dopo che avrò spiegato al Consiglio la parte che gli compete nel grande piano lo shògun Nobusada riceverà l'ordine di tornare alla sua legittima dimora di Edo, e dovrà tornarci solo, perchè la sua ostile moglie lo raggiungerà “dopo qualche giorno” cioè mai, ma di questo particolare, tranne che a Ogama, non parlerò a nessuno.
Neppure Ogama deve conoscere tutti i particolari del piano, basta che collabori a irretire la principessa e a farla divorziare su “richiesta” imperiale.
Ogama si assicurerà che Yazu resti in disparte finché non sarà stata completamente neutralizzata e si sarà rassegnata a vivere per sempre in quel pantano di gare di poesia, misticismo e cerimoniali ultraterreni che è la vita a palazzo. Con un nuovo marito: Ogama.
Ma anche se sarò io stesso a suggerire quell'unione, pensò Yoshi con divertito cinismo, il marito non sarà Ogama.
No, sarà un altro, l'uomo che la renderà felice, il principe al quale era stata promessa e che ancora onora. Ogama si dimostrerà un prezioso alleato, in molti sensi, prima di uscire di scena.
Nel frattempo non è affatto necessario che io condivida con Ogama, con Anjo o con altri la verità immortale che ho scoperto sui gai-jin: e cioè che i gai-jin intendono, considerano e concepiscono il tempo in un modo completamente diverso da noi. Pensano che il tempo sia finito. Noi no.
Dividono il tempo in minuti, ore e giorni e per loro i mesi sono molto importanti, gli appuntamenti sono sacrosanti. Per noi no. I gai-jin dipendono dalla loro concezione del tempo. E questo è un randello che potremo sempre usare contro di loro.
Al solito compiaciuto di avere segreti da custodire, Yoshi sorrise tra sé immaginando i mille modi in cui avrebbe potuto approfittare dell'equivoco dei gai-jin rispetto al tempo reale per dominarli e così controllare il futuro. Pazienza, pazienza, pazienza.
Nel frattempo ho ancora il comando sulle Porte, anche se gli uomini di Ogama controllano i miei.
Non importa. Presto ne avremo il comando completo, e domineremo come un tempo anche il Figlio del Cielo.
Vedrà mai quel giorno? In un caso e nell'altro è questione di karma.
La risata di Koiko lo fece rabbrividire: Ah, Tora-chan, voi e il karma.
Sconcertato si guardò in giro. Non era lei. Quella risata proveniva dal corridoio insieme ad altre voci.
“Sire?”
“Avanti” rispose Yoshi che aveva riconosciuto la voce di Abeh.
Abeh scivolò da solo nella stanza. Le guardie si rilassarono. Era accompagnato da una cameriera, una donna allegra di mezz'età che reggeva un vassoio con del tè fumante. Si inginocchiarono e si prostrarono entrambi. “Posalo sul tavolo” ordinò Yoshi. La cameriera ubbidì con un sorriso, Abeh invece rimase in ginocchio accanto alla porta rispettando la nuova regola che imponeva di tenersi a una distanza di due metri finché Yoshi non avesse ordinato altrimenti. “Perché ridi?” chiese il principe alla cameriera.
Con sua sorpresa la donna rispose allegramente: “Rido del gigante gai-jin, sire, quando l'ho visto nel cortile ho pensato che fosse un kami, anzi che ci fossero due kami, sire: l'altro ha i capelli gialli e gli occhi azzurri come un gatto siamese. Eeeh, sire, che ridere... Immaginate, gli occhi azzurri! Il tè è dell'ultimo raccolto, come avete chiesto. Desiderate qualcosa da mangiare, prego?”.
“Più tardi” disse Yoshi congedandola. Adesso si sentiva più calmo, contagiato dall'indole affettuosa della cameriera. “Abeh, i gai-jin sono nel cortile? Che cos'è successo?”
“Vi prego di scusarmi, sire, non lo so” rispose Abeh al quale non era ancora passata l'irritazione per essere stato scacciato da Anjo insieme ai suoi il giorno prima. “Il capitano delle guardie del corpo del tairò è arrivato un minuto fa e mi ha ordinato... mi ha ordinato di riportarli a Kanagawa. Cosa devo fare, sire? Immagino che prima li vogliate vedere.”
“Dov'è adesso il tairò, Anjo?”
“So soltanto che i due gai-jin devono essere riportati a Kanagawa, sire. Quando gli ho chiesto come è andata la visita il capitano mi ha risposto con insolenza: “Quale visita?” e se ne è andato.”
“Porta qui i gai-jin.” Presto si sentì il rumore di pesanti passi stranieri. Un colpo alla porta. “I gai-jin, sire.
“ Abeh si scostò, fece cenno a Babcott e Tyrer di entrare, si inginocchiò e si inchinò. Entrambi non rasati e visibilmente stanchi, i due inglesi si inchinarono senza inginocchiarsi. Immediatamente una delle due guardie sulla porta si avventò con rabbia contro Tyrer facendolo cadere in ginocchio.
L'altro cercò di spingere Babcott a terra ma il dottore si divincolò con un'agilità straordinaria per un uomo tanto grosso, lo afferrò per i vestiti all'altezza della gola, con una mano lo sollevò e lo spinse contro il muro di pietra, lo tenne lì sospeso per un istante, poi lo lasciò scivolare sul pavimento.
L'uomo aveva perso conoscenza.
Scese il silenzio. Babcott disse con noncuranza: “Gomen nasai, Yoshi-sama, non si trattano così gli ospiti.
Per favore, Phillip, traducete e ditegli che non ho ucciso questo maleducato, ma che soffrirà di mal di testa per almeno una settimana”.
Ripresisi dallo stupore, gli altri samurai stavano per impugnare le spade. “Fermi!” ordinò Yoshi adirato sia con i gai-jin sia con le guardie.
I suoi rimasero pietrificati.
Phillip Tyrer, che si era rialzato a fatica, ignorò la guardia svenuta e balbettò in giapponese: “Per favore scusate, Yoshi-sama, ma Dottore-sama e io ci inchiniamo da stranieri. Educati, si? Lui non intendeva fare male. Dottore-sama dice, per favore scusate, l'uomo non è morto ma...”. Dopo aver invano cercato la parola si portò una mano sul capo.
“Male una settimana o due.” Yoshi rise. L'atmosfera nella stanza si rasserenò.
“Portatelo via e fatelo tornare quando si sarà ripreso.” Fece cenno alle guardie di riprendere i loro posti e ai due inglesi di sedersi davanti a lui. Non appena Babcott e Tyrer si furono accomodati disse: “Come sta il tairò, com'è andata la visita?”.
Come avevano già concordato, risposero con parole semplici e aiutandosi con i gesti, dicendo che la visita era andata bene, che il tairò soffriva di una brutta ernia, ma che Babcott sarebbe stato in grado di evitare il dolore con una speciale fasciatura e con una medicina che avrebbe fatto preparare all'Insediamento; e infine che il tairò aveva accettato di rivederlo dopo una settimana per farsi sistemare il cinto erniario e per conoscere i risultati degli esami. E che nel frattempo Babcott gli aveva dato una medicina che avrebbe eliminato il dolore quasi del tutto aiutandolo a dormire.