E non mi avete salvato, né tu né quello scemo di Marlowe che è colpevole quanto te.
Madre benedetta, dammi la forza, aiutami a vendicarmi di entrambi. E di lui, chiunque egli sia! Madre di Dio, aiutami a vendicarmi! Ma perchè avrà rubato la mia croce lasciando gli altri gioielli, perchè ha scritto quegli ideogrammi? Che cosa significano? E perchè li ha scritti con il sangue, il suo sangue?
Si rese conto che Babcott la stava fissando. “Oui?”
“Vi ho domandato se volete vedere il signor Struan adesso o preferite rimandare a un altro momento.”
“Oh! Sì, sì adesso per favore.”
Si alzò riprendendo il controllo di sé.
“Oh, temo di aver versato la brocca dell'acqua sulle lenzuola, potreste chiedere alla cameriera di occuparsene, per cortesia?”
Babcott rise. “Qui non abbiamo cameriere. E' contro i regolamenti giapponesi. Abbiamo solo servitori cinesi. Ma non temete, avranno cominciato a riordinare la vostra stanza appena ne siete uscita ...” S'interruppe vedendola impallidire.
“Che cosa vi succede?”
Aveva perso per un istante l'autocontrollo tornando con la memoria nella stanza, mentre puliva con accanimento le tracce della notte sgomenta al pensiero che non si cancellassero. Invece erano scomparse; ricordava di aver controllato e ricontrollato perchè il suo segreto fosse al sicuro, non era rimasto alcun segno, sperma o sangue, e il suo segreto era al sicuro per sempre se trovava la forza di attenersi ai piani e la doveva trovare, e doveva anche essere intelligente, doveva assolutamente esserlo.
Babcott osservò allibito la ragazza improvvisamente pallida che tormentava con dita inquiete la stoffa della gonna.
Con un balzo le fu accanto e appoggiò con delicatezza le mani sulle sue spalle.
“Non c'è niente di cui preoccuparsi, ora siete al sicuro, non c'è niente di cui preoccuparsi.”
“Si, scusate” mormorò lei spaventata tenendo il capo appoggiato al petto del dottore e lasciando scorrere liberamente le lacrime.
“Solo che io, mi, mi sono ricordata del povero Canterbury.”
Con distacco si osservò lasciarsi confortare da Babcott, intimamente certa che il suo piano fosse l'unico e il solo piano saggio e attuabile: non è successo niente.
Niente, niente, niente.
Ci crederai fino alle prossime mestruazioni.
E poi, se arriveranno, ci crederai per sempre.
E se non arriveranno?
Non so, non so, non so.
Capitolo 7
†
Lunedì, 15 settembre
“I gai-jin sono volgari parassiti” esclamò Nori Anjo tremando di rabbia.
Anjo, il capo del Roju, il Consiglio dei Cinque Anziani, era un uomo tarchiato dal volto rotondo, riccamente vestito.
“Hanno respinto con sdegno le garbate scuse che avrebbero dovuto mettere fine alla questione della Tokaidò e ora chiedono in via ufficiale un'impertinente udienza allo shògun: il testo è stupido, le parole inappropriate, qua, leggi tu stesso, è appena arrivato.”
Con malcelata impazienza tese il rotolo al suo giovane avversario, Toranaga Yoshi, che gli sedeva di fronte.
I due erano soli in una delle sale delle udienze nel corpo centrale del castello di Edo, tutte le loro guardie personali attendevano dall'altra parte della porta.
Un basso tavolo laccato di rosso separava i due uomini, e sul tavolo c'erano un vassoio nero, due tazze da tè di delicata fattura e una teiera della più fine porcellana.
“Qualsiasi cosa dicano i gai-jin non ha importanza.”
Yoshi accettò il rotolo senza leggerlo.
Diversamente da Anjo, era vestito con semplicità e non portava spade da cerimonia.
“Dobbiamo trovare il modo di costringerli a fare ciò che vogliamo.” Yoshi era il daimyo di Hisamatsu, un feudo piccolo ma importante e discendeva in linea diretta dal primo shògun Toranaga.
In seguito a un “suggerimento” dell'imperatore, e malgrado la fiera opposizione di Anjo, Yoshi era stato nominato Guardiano dell'Erede, il giovanissimo shògun, e aveva occupato il ruolo vacante nel Consiglio dei Cinque.
Era un uomo di ventisei anni, alto, aristocratico, con belle mani e dita affusolate.
“Per nessuna ragione al mondo devono incontrare lo shògun” disse Yoshi, “perchè ciò confermerebbe la legalità dei trattati che non sono ancora stati ratificati. Ci opporremo alla loro insolente richiesta.”
“Concordo con te sul fatto che sia insolente, ma ritengo tuttavia che non possa essere ignorata, e penso inoltre che dovremmo decidere il da farsi con quel cane satsuma, Sanjiro.”
Erano entrambi stanchi del problema gai-jin che disturbava la loro wa, l'armonia, da ben due giorni, e per di più erano molto ansiosi di mettere fine a quell'incontro; Yoshi voleva tornare ai suoi alloggi dove lo aspettava Koiko e Anjo aveva un appuntamento segreto con un medico. L'aria era calda e dalle finestre aperte entrava una lieve brezza con il profumo del mare e della terra fertile.
Ancora nessuna minaccia d'inverno.
Eppure l'inverno sta arrivando, pensò Anjo distratto dal dolore nel ventre.
Odio l'inverno, stagione di morte, stagione triste, con il cielo triste, il mare triste, la terra triste e brulla, con gli alberi spogli e il freddo che ti morde le giunture ricordandoti che sei vecchio. A quarantasei anni Anjo aveva già i capelli grigi.
Daimyo di Mikawa, era il membro più influente del Roju da quando quattro anni prima il dittatore, il tairò, era stato assassinato.
Mentre tu, pensò rivolto a Yoshi, ragazzetto presuntuoso, sei nel Consiglio da due mesi soltanto e hai l'incarico di Guardiano da quattro settimane, incarichi politicamente delicati che ti sono stati affidati malgrado le nostre proteste.
Sarebbe ora di tarparti le ali.
“Ovviamente terremo conto del tuo consiglio” disse in tono mielato, e poi, non meno consapevole di Yoshi del fatto di aver mentito aggiunse: “Da due giorni i gai-jin preparano la flotta per la battaglia, i loro uomini si stanno esercitando alla luce del sole e domani arriveranno qui i loro capi. Che cosa suggerisci di fare?”.
“Quello che abbiamo fatto ieri prima di ricevere la loro risposta: mandiamo altre scuse “per l'increscioso incidente” intrise di un sarcasmo che non capiranno mai, per mano di un ufficiale di cui non conosceranno mai il nome, appena prima che il loro capo lasci Yokohama, e chiederemo altro tempo per “svolgere indagini”.
Se ciò non li soddisferà e uno o più di loro vorranno venire a Edo, vengano pure.
Manderemo il solito ufficiale di basso rango così da non comprometterci a trattare con la loro Legazione e gli propineremo la solita acqua sporca senza pesce.
Tergiversiamo insomma, tergiversiamo.”
“Nel frattempo è giunto il momento di esercitare il nostro diritto ereditario: ordineremo a Sanjiro di consegnarci gli assassini affinché vengano immediatamente puniti, di pagare senza indugi l'indennizzo richiesto, e di mettersi agli arresti domiciliari senza por tempo in mezzo.
Glielo ordiniamo!” concluse con durezza Anjo.
“Tu non hai nessuna esperienza in queste alte questioni dello shògunato.” Yoshi si rammaricò di non disporre del potere necessario per mettere immediatamente agli arresti lo stesso
Anjo e punirlo così della sua stupidità e della sua maleducazione.
Si limitò a dire: “Se diamo a Sanjiro un ordine che verrà ignorato ci troveremo costretti a lanciarci in una guerra, e quello di Satsuma è un feudo troppo forte e con troppi alleati.
Non combattiamo da duecentocinquanta anni. Non siamo pronti per una guerra. La guerra è...”
Scese improvvisamente uno strano silenzio.
Entrambi misero istintivamente mano alle spade.
Tazze e teiera cominciarono a tremare sul vassoio.
In un punto lontano la terra rumoreggiò, l'intera torre subì una leggera scossa e parve inclinarsi, poi un'altra scossa, per un tempo che sembrò interminabile sebbene non fosse durato più di trenta secondi.
Il terremoto finì all'improvviso com'era incominciato.
I due uomini aspettarono impassibili senza distogliere lo sguardo dalle tazze sul tavolino.
Nessuna scossa di assestamento.
Ancora niente.
Nel castello e in città tutti aspettavano. Ogni creatura vivente aspettava.
Niente.
Yoshi sorseggiò un pò di tè, poi appoggiò meticoloso la tazza sul piattino. Anjo non poté non invidiargli l'autocontrollo.
Yoshi in realtà era tutt'altro che tranquillo e stava pensando: Oggi gli dei mi hanno protetto, ma cosa succederà alla prossima scossa? o a quella che seguirà, in qualsiasi momento, tra una candela o persino nel pomeriggio, oppure questa notte o domani? Karma!
Per oggi sono salvo.
Ma non è detto che ben presto non ve ne sia un altro più cattivo, un terremoto assassino, come quello di sette anni fa in cui quasi persi la vita e centinaia di migliaia di persone perirono soltanto e Edo a causa delle scosse e degli inevitabili incendi, senza contare le decine di migliaia di persone spazzate via dal mare e annegate nell'onda tsunami che uscì dal mare nella notte senza preavviso e si portò con sé anche la mia amata Yuriko, allora la passione della mia vita.
Per dominare la paura riprese l'argomento dello scontro con Sanjiro.
“In questo momento entrare in guerra sarebbe del tutto avventato da parte nostra. Satsuma è troppo forte, le legioni di Tosa e Choshu si alleeranno apertamente con Sanjiro e da soli noi non siamo abbastanza forti per schiacciarli.” I feudi di Tosa e di Choshu, molto lontani da Edo, erano storicamente nemici dello shògunato.
“I daimyo più importanti verranno con noi, se li convocheremo, e gli altri seguiranno.”
Anjo cercò di dissimulare lo sforzo che gli costava allentare la stretta della mano intorno all'elsa della spada.
Era ancora terrorizzato a morte.
Yoshi, attento e ben addestrato, notò subito nell'altro il gesto di debolezza e ne prese nota per il futuro, lieto di avere l'opportunità di scrutare dentro il suo nemico.
“Non verranno, non ancora. Prenderanno tempo, imprecheranno, piagnucoleranno, ma non ci aiuteranno mai a schiacciare i satsuma. Non hanno palle.”
“Se non lo facciamo ora, quando lo faremo?”
La rabbia di Anjo esplose amplificata dalla paura.
Quand'era bambino si era trovato in mezzo a un terremoto particolarmente forte e aveva visto suo padre trasformarsi in una torcia umana e la madre e i due fratelli incenerire sotto i suoi occhi.
Da allora ogni scossa, anche la più lieve, lo costringeva a rivivere quel giorno e a risentire l'odore delle carni bruciate dei suoi cari e le loro grida. “Dobbiamo piegare quel cane, prima o poi. Perché non ora?”
“Perché è più saggio aspettare d'essere meglio armati. I feudi di Satsuma, Tosa e Choshu dispongono di alcune armi moderne, cannoni e fucili, e non sappiamo nemmeno quanti. Per non parlare delle navi a vapore.”
“Vendutegli dai gai-jin, contro il volere dello shògunato!”
“Acquistate grazie a una precedente debolezza del Consiglio.” Anjo divenne paonazzo.
“Non sono io il responsabile!”
“Io neppure!”
Le dita di Yoshi si strinsero sull'elsa della spada.
“Comunque che i feudi di Satsuma, Tosa e Choshu siano meglio armati di noi resta un fatto indipendentemente dalle responsabilità personali di ciascun membro del Consiglio.
Perciò, nostro malgrado, dobbiamo aspettare.
Il frutto di Satsuma non è ancora marcio al punto di farci partire soli per una guerra che non siamo in grado di vincere.
Noi siamo isolati, Sanjiro no.”
Il tono di Yoshi divenne più tagliente. “Ma come te ritengo che presto dovrà esserci una resa dei conti.”
“Domani chiederò al Consiglio che sia emesso l'ordine contro Sanjiro.”
“Per il bene dello shògunato, per il bene tuo e per quello di tutti i clan Toranaga, mi auguro che gli altri non ti diano ascolto!”
“Staremo a vedere: la testa di Sanjiro deve essere infilzata su un palo ed esposta come esempio a tutti i traditori.”
“Sono convinto quanto te che Sanjiro abbia ordinato l'esecuzione sulla Tokaidò solo per metterci in imbarazzo” disse Yoshi, “per far infuriare i gai-jin. La nostra unica arma è prendere tempo.
La nostra missione in Europa dovrebbe essere di ritorno da un giorno all'altro ormai, e allora i nostri guai saranno finiti.”
Otto mesi prima, in gennaio, lo shògunato aveva inviato in America e in Europa una nave a vapore con la prima delegazione ufficiale giapponese.
La delegazione aveva ricevuto l'ordine segreto di rinegoziare i trattati che il Roju considerava “ipotesi di accordo non autorizzate” con i governi inglese, francese e americano, e di cancellare o rimandare qualsiasi accordo per l'apertura di altri porti.
“Gli ordini erano chiari. A questo punto i trattati dovrebbero essere stati invalidati.”
Anjo disse minaccioso: “Dunque anche se non gli dichiariamo subito guerra convieni con me che sia giunto il momento di eliminare Sanjiro?”.
Il più giovane era troppo prudente per dichiararsi apertamente d'accordo con Anjo e continuava a chiedersi se l'altro avesse già fatto dei piani. Scostò le due spade per state seduto più comodamente e finse di riflettere. A Yoshi il nuovo incarico piaceva molto.
Ancora una volta sono al centro del potere, pensò.
Oh si, è Sanjiro che mi ha aiutato ad arrivare qui, ma soltanto per il suo vile proposito, quello di distruggermi rendendomi pubblicamente responsabile di tutti i guai portati dai maledetti gai-jin e trasformarmi così nel principale obiettivo dei dannati shishi per poi usurpare i nostri diritti ereditari, le ricchezze e lo shògunato.
Poco importa, io sono consapevole di quello che Sanjiro e il suo leccapiedi Katsumata stanno organizzando, conosco le loro vere intenzioni nonché quelle dei loro alleati, i tosa e i choshu.
E giuro sui miei avi che Sanjiro non ci riuscirà.
“Come lo elimineresti?”
La fronte di Anjo si corrugò al ricordo del violento scontro di qualche giorno prima con il daimyo di Satsuma.
“Lo ripeto” gli disse Sanjiro in tono imperioso, “obbedisci al suggerimento dell'imperatore: riunisci subito tutti gli anziani daimyo e chiedi con umiltà che diano vita a un Consiglio permanente con l'incarico di riformare e governare lo shògunato, di cancellare quegli accordi infami e non autorizzati con i gai-jin, di ordinare che tutti i porti siano chiusi per gli stranieri e, qualora questi non se ne andassero di loro spontanea volontà, di espellerli immediatamente! “