Il suo eccitamento crebbe.
Un anno prima, poco prima di partire dalla città natale di Plymouth, suo padre, il capitano Richard Marlowe della Reale Marina Britannica, gli aveva detto: “Hai ventisette anni, ragazzo mio, ormai comandi la tua nave, una bagnarola ma pur sempre una nave, sei il mio primogenito ed è tempo che ti sposi. Quando tornerai da questa crociera in Estremo Oriente avrai passato i trent'anni e con un pò di fortuna io sarò diventato viceammiraglio e... be', potrò darti qualche ghinea in più, ma per amor del cielo non dirlo a tua madre né ai tuoi fratelli.
E' ora che tu metta la testa a partito! Cosa ne diresti della cugina Delphi? Suo padre è dei nostri, anche se è nell'esercito indiano”.
Aveva promesso che al suo ritorno avrebbe scelto.
Ma adesso forse non si sarebbe più dovuto accontentare della seconda o terza o quarta scelta.
“La signorina Angélique ha dato l'allarme nell'Insediamento e poi ha insistito per venire qui. Struan aveva chiesto di vederla con urgenza; non sembra in gran forma, anzi, ha proprio una brutta ferita, così gliel'ho portata. E' una vera signora.”
“Sì.”
Uno strano silenzio scese su tutti e tre e a ciascuno sembrò di riuscire a leggere i pensieri dell'altro.
Fu Phillip Tyrer a parlare per primo.
“Perché mai un assassino è venuto qui?” I due ufficiali si rendevano conto che l'argomento innervosiva Tyrer.
“Per combinare qualche altra diavoleria, suppongo” rispose Panidar. “Niente di cui preoccuparsi, comunque, perchè l'abbiamo preso, quel bastardo.
Avete visto il signor Struan stamattina?”
“Mi sono affacciato nella sua stanza ma dormiva, spero che guarisca presto. L'operazione è stata lunga e complessa e...”
Tyrer smise di parlare quando dall'esterno giunsero i suoni di un alterco. Pallidar li precedette alla finestra.
Il sergente Towery stava gridando rivolto a un giapponese seminudo che si trovava all'altra estremità del giardino e gesticolava.
“Ehi tu, vieni qua!”
L'uomo, in apparenza un giardiniere, aveva un fisico robusto e sembrava giovane visto da quella distanza.
Indossava soltanto un perizoma e su una spalla teneva un fascio di rametti avvolti in un cencio nero, che continuava a raccogliere chinandosi goffamente.
Per un istante il giardiniere fissò il sergente, poi cominciò a inchinarsi in modo servile.
“Mio Dio, questi infami non hanno nessuna vergogna” commentò Pallidar disgustato.
“Nemmeno i cinesi e gli indiani si vestono in questo modo. Gli si possono vedere le parti intime.”
“Mi hanno detto che qualcuno di loro si veste così anche in inverno” disse Marlowe, “sembra che non soffrano il freddo.”
Towery continuava a gridare e a fare cenni.
L'uomo non smetteva di inchinarsi e annuire con vigore, ma anziché andare verso il sergente si comportò come se ne avesse frainteso l'ordine e con un mezzo inchino si affrettò verso l'estremità dell'edificio. Passando davanti alla loro finestra li guardò per un istante, si prostrò una volta ancora in una riverenza servile e sparì affrettandosi verso gli appartamenti della servitù, seminascosto dagli arbusti che aveva raccolto. “Strano” fu il commento di Marlowe.
“Che cosa?”
“Niente, solo che tutti quegli inchini e quella goffaggine sembravano fasulli.”
Marlowe si voltò e vide il volto di Tyrer: sembrava diventato di gesso. “Dio onnipotente, cosa vi succede?”
“Io... io... credo che quell'uomo sia... penso che sia uno di loro... uno degli assassini della Tokaidò, quello colpito da Struan. Avete notato se la sua spalla era bendata?”
Pallidar fu il primo a reagire.
Saltò dalla finestra seguito da Marlowe che aveva afferrato la spada. Insieme si precipitarono tra gli alberi.
Dopo lunghe ricerche dovettero ammettere che era scomparso.
A mezzogiorno Babcott bussò qualche colpetto alla porta della camera da letto di Angélique.
La chiamò “Mademoiselle? Mademoiselle?” a bassa voce.
Non voleva svegliarla in caso stesse ancora riposando e infatti lei non rispose.
Immobile al centro della stanza fissava la porta chiusa respirando a fatica, la vestaglia stretta intorno al corpo, un'espressione rigida sul volto.
Il tremito ricominciò.
“Mademoiselle?” Aspettò di sentire il suono dei passi del dottore morire in lontananza, e respirò più profondamente cercando con disperazione di fermare il tremito.
Riprese a camminare dalla finestra al letto alla finestra come faceva da ore.
Devo prendere una decisione, pensò disperata.
La seconda volta si era svegliata con la mente lucida.
Era rimasta tra le lenzuola sgualcite senza muoversi, felice di sentirsi sveglia e riposata, affamata e pronta per la prima buona tazza di caffè della giornata servita con quel croccante pane francese che il cuoco della Legazione di Yokohama sapeva preparare.
Ma non sono a Yokohama, ricordò, sono a Kanagawa e oggi avrò soltanto una tazza di vomitevole tè inglese al latte.
Malcolm! Povero Malcolm, spero tanto che stia meglio. Torneremo a Yokohama oggi stesso, salirò sulla prima nave per Hong Kong e da li a Parigi... ma oh, che sogni ho fatto, che sogni!
Le fantasie della notte erano ancora vive nel ricordo e si mescolavano alle immagini dell'attacco dei samurai sulla Tokaidò e della mutilazione di Canterbury e dello strano comportamento di Malcolm che dava per scontato il loro matrimonio.
Le tornò alla mente lo sgradevole odore della sala operatoria ma cercò di allontanarne il ricordo con uno sbadiglio allungando la mano verso la sveglietta che aveva lasciato sul comodino.
Quel piccolo movimento le procurò una fitta alle reni.
Per un istante si chiese se fosse il sintomo di un mestruo anticipato poiché non era del tutto regolare, tuttavia accantonò subito l'ipotesi come impossibile.
La sveglia segnava le dieci e venti.
Era incastonata di lapislazzuli e gliel'aveva regalata il padre per il suo diciottesimo compleanno, l'8 di luglio, festeggiato circa due mesi prima a Hong Kong.
Tante cose sono successe da allora, pensava.
Sarò così felice di essere di nuovo a Parigi, nella civiltà, e non tornerò mai, mai, mai...
All'improvviso si rese conto d'essere nuda.
Con grande stupore scoprì che la camicia da notte, infilata soltanto sulle braccia e sulle spalle, era completamente lacerata e si era infilata tutta sotto la schiena.
Stupita ne sollevò i due lembi. Alzandosi e dirigendosi verso la finestra per cercare di capire che cosa fosse accaduto venne colta da un'altra fitta di dolore.
Alla luce del giorno notò una traccia di sangue sul lenzuolo e un'altra tra le gambe.
“Come può essere già...”
Contò e ricontò i giorni ma i calcoli non tornavano.
Aveva avuto le ultime mestruazioni due settimane prima.
Era leggermente bagnata e non ne capì la ragione, poi il cuore quasi le si fermò e il cervello cominciò a gridare che i sogni non erano stati sogni ma realtà e che doveva essere stata violentata durante il sonno.
“Non è possibile! Devi essere matta... non è possibile” aveva ansimato annaspando in cerca d'aria.
“Oddio, fa' che sia un sogno, che sia solo parte di quei sogni.”
Andò verso il letto col cuore che batteva all'impazzata.
“Sei sveglia, questo non è un sogno, sei sveglia!”
Si esaminò un'altra volta in preda al panico, poi passò a un'ispezione più accurata.
Ne sapeva abbastanza per capire che non aveva sbagliato: il suo imene era stato rotto.
Era la verità: era stata violentata.
La stanza cominciò a girare.
Oh Dio, sono rovinata, la mia vita, il futuro... nessun uomo decente mi sposerà adesso che sono disonorata.
E per una ragazza il matrimonio è l'unico modo per avere un futuro felice; non ce n'è un altro.
Quando tornò a pensare con coerenza si trovò sdraiata in diagonale sul letto; tremando cercò di ricostruire gli eventi della notte.
Ricordò di aver chiuso la porta.
La guardò. Il chiavistello era a posto.
Ricordò Malcolm e il cattivo odore nella stanza dell'infermeria e di essere scappata, Phillip Tyrer che dormiva pacifico, il dottor Babcott che mi ha dato qualcosa da bere ed è salito con me...
La bevanda! Oddio, sono stata drogata! Se Babcott può operare con queste droghe, è ovvio che può essere successo, è ovvio che ero incosciente ma questo adesso non mi aiuterà! E' successo! Pensa se aspettassi un bambino!
Nuova ondata di panico.
Le lacrime le rigarono le guance e dovette trattenersi dal gridare la sua angoscia.
“Smettila!'” si ordinò imponendosi uno sforzo supremo per controllarsi. “Smettila! Non dire niente, niente!
Sei sola, nessuno ti può aiutare, ci sei solo tu, devi pensare. Che cosa farai? Pensa!”
Inspirò profondamente con il cuore a pezzi e cercò di rimettere ordine nella mente confusa.
Chi è stato?
Poiché il chiavistello era ancora al suo posto nessuno poteva essere entrato dalla porta.
Aspetta un minuto, ricordo vagamente... o faceva parte del sogno prima di... mi sembra di ricordare di aver aperto la porta a Babcott e a quell'ufficiale della marina... Marlowe... e di averla richiusa.
Sì, proprio così! Almeno penso che sia andata così. Non parlava francese... si lo parlava, molto male, poi sono andati via e io ho richiuso la porta, ne sono sicura.
Ma perchè mi hanno svegliata nel cuore della notte?
Cercò a lungo una risposta senza riuscire a trovarla, incerta sull'accaduto, mentre le immagini della notte le sfuggivano in parte se non del tutto.
Concentrati!
Se non era passato dalla porta doveva essere, entrato dalla finestra.
Guardò: la sbarra che serviva per bloccare le imposte dall'interno era sul pavimento sotto il davanzale anziché nella sua guida.
Dunque il colpevole è entrato dalla finestra!
Ma chi? Marlowe?
Quel Pallidar o persino il buon dottore?
So che tutti mi desiderano.
Chi sapeva che ero drogata? Babcott.
Potrebbe averlo detto a qualcuno ma certamente nessuno di loro avrebbe osato fare una cosa così malvagia e rischiare di arrampicarsi dal giardino. E se avessi strillato come un'aquila...
Tutto il suo essere gridava un avvertimento: Sta' attenta.
Il futuro dipende da quanto saprai essere saggia e attenta. Sta' attenta.
Sei così sicura che sia successo durante la notte? E i sogni? Forse...
Adesso non posso perdere tempo coi sogni eppoi soltanto un medico potrebbe dirmi la verità, e qui l'unico dottore disponibile è Babcott.
Aspetta... potresti aver rotto quel sottile velo durante il sonno, agitandoti a causa di un incubo.
Perché era un incubo, non è vero? E' già successo a qualche ragazza? Si, ma dopo erano ancora vergini e comunque questo non spiega il sangue e il resto.
Ricorda Jeannette in convento, povera sciocca Jeannette che s'innamorò di uno dei fornitori e lo lasciò fare e più tardi ci raccontò tutto nei dettagli.
Non restò incinta ma venne scoperta e l'indomani fu scacciata per sempre e più tardi venimmo a sapere che era stata data in sposa al macellaio di un villaggio, l'unico che avesse accettato di prenderla.
Io non ero consenziente, ma questo non mi aiuterà, solo un dottore potrebbe saperlo con certezza e comunque non mi aiuterebbe e l'idea che Babcott o chiunque altro debba diventare così intimo mi riempie di orrore e a quel punto Babcott condividerebbe il mio segreto.
Come faccio a condividere con qualcuno un segreto simile? Se si venisse a sapere... devo tenerlo per me! Ma come, come si fa, e poi cosa succederà?
A questo troverò una risposta domani.
Adesso devo capire chi è stato.
No, prima ripulisci le tracce di quest'onta e rifletterai meglio. Devi pensare bene.
Sfilatasi la camicia da notte, la gettò in un angolo con disgusto, si lavò a lungo e con cura cercando di far riaffiorare alla memoria tutte le nozioni contraccettive di cui era in possesso, ciò che Jeannette aveva fatto con successo.
Poi indossò la vestaglia e si spazzolò i capelli.
Con la polvere dentifricia si pulì i denti e solo a quel punto si guardò allo specchio.
Esaminò il proprio volto con grande attenzione.
Era senza macchia.
Allentò la vestaglia.
Anche i fianchi e il seno sembravano incontaminati.
Solo i capezzoli un pò arrossati.
Si guardò un'altra volta nello specchio.
“Nessun cambiamento, niente. E allo stesso tempo niente è come prima.” Poi si accorse che la piccola croce d'oro che portava da tanti anni e non si toglieva nemmeno per dormire era scomparsa.
Cercò con cura nel letto e sotto, guardò in tutti gli angoli della stanza. Non era nascosta tra le lenzuola o sotto il cuscino né tra le pieghe delle tende.
L'ultima possibilità era che si nascondesse nel pizzo del copriletto.
Lo raccolse dal pavimento e lo esaminò.
Niente.
Poi vide i tre caratteri giapponesi rozzamente disegnati con il sangue sul tessuto.
Un raggio di sole scintillò sulla croce d'oro.
Ori teneva stretta nel pugno la sottile catena e la fissava ipnotizzato.
“Perché l'hai presa?” chiese Hiraga.
“Non lo so.”
“Non uccidere quella donna è stato un errore. Shorin aveva ragione.”
“Karma.”
Erano al sicuro nella Locanda dei Fiori di Mezzanotte e Ori si era lavato e rasato.
Ricambiando lo sguardo di Hiraga pensò: Tu non sei il mio maestro, ti dirò soltanto quello che mi va di dirti, niente di più.
Aveva raccontato della morte di Shorin e di come si era arrampicato nella stanza della ragazza che dormiva profondamente e non si era risvegliata.
Aveva raccontato anche di come si era nascosto, si era liberato dei vestiti da ninja, vi aveva avvolto le spade, si era lasciato scivolare dalla finestra e si era finto giardiniere riuscendo a raccogliere alcuni rami secchi poco prima di essere avvistato, e di come, infine, dopo aver riconosciuto uno degli uomini incontrati sulla Tokaidò era riuscito a scappare.
Ma sul conto della ragazza non aveva detto altro.
Come posso spiegare a qualcuno e in parole mortali che per mezzo di lei sono diventato tutt'uno con gli dei, che quando l'ho spalancata davanti a me e l'ho guardata mi sono ubriacato di desiderio, che quando sono entrato in lei l'ho fatto da amante e non da stupratore.