Dopo un momento, Yoshi annuì. “Una buona idea, Ogama-dono.
Non ci avevo pensato.” Era vero, e più ci pensava, più la prospettiva gli sembrava invitante. “Diamole la precedenza. Ottimo.” In fondo alla piazza una cavalla nitrì impaziente rompendo le fila ed entrambi si concessero una pausa per osservare il soldato che, con le briglie strette in mano, si chinava per calmarla.
Ogama, nel profondo del suo cuore, si chiese se, una volta eliminato Yoshi, e con un veloce colpo di mano, Nobusada, gli altri Toranaga e i loro alleati, e occupata la carica di shògun, avrebbe mai ereditato anche la principessa imperiale.
Nessuna donna mi darà mai problemi; Yazu mi scodellerebbe dei figli così in fretta che persino gli dei sorriderebbero.
“Allora, cosa proponi?” chiese, eccitato dalle magnifiche prospettive aperte da un'alleanza temporanea con Yoshi.
“Ci accordiamo segretamente, a partire da oggi, di unire le nostre forze e le nostre sfere di influenza e di formulare insieme i seguenti piani: primo, annientare gli shishi; secondo, neutralizzare Anjo e Sanjiro di Satsuma; terzo, un attacco a sorpresa contro Tosa da sferrare quanto prima. Appena Anjo morirà o darà le dimissioni, proporrò che tu lo sostituisca in Consiglio e garantirò la tua nomina. Contemporaneamente Zukumura si dimetterà e verrà sostituito da una persona da noi concordata.
Tre a due. Io tengo Toyama e al posto di Adachi mettiamo un tuo prescelto. Voterò perchè tu venga nominato capo del Consiglio.”
“Con il titolo di tairò.”
“Primo ministro del Consiglio, è sufficiente.”
“Forse no. In cambio di cosa?”
“Da oggi, Tosa e Satsuma vengono considerati nemici. Tu impegni tutte le forze necessarie per un comune attacco di sorpresa contro Tosa da sferrarsi non appena possibile. Ci dividiamo il feudo.”
“Ma lui è un principe esterno, le sue terre devono andare a un principe esterno.”
“Forse sì, forse no” disse Yoshi con calma. “Tu t'impegni a non allearti mai con Tosa e con Satsuma contro di me o contro lo shògunato.
Se, o meglio, quando, Satsuma e Tosa, separatamente o insieme, ti attaccheranno, mi impegno a sostenerti subito con grande dispiego di forze.”
“Poi?” chiese Ogama impassibile.
“Da oggi, discretamente, ciascuno con i suoi mezzi, lavoreremo per far annullare il matrimonio.”
“Poi?”
“L'ultimo punto: le Porte. Dovresti accettare che le forze legittime e legali dello shògunato ne riprendano il controllo a partire dall'alba di domani.” Ogama si incupì. “Ti ho già dimostrato che sono il legittimo e legale rappresentante della Divinità.”
“Come ho già messo in evidenza, benché il documento sia sicuramente firmato in modo corretto, quella firma purtroppo è stata ottenuta travisando la legge.”
“Molto spiacente, no”
“Le Porte devono tornare sotto il controllo dello shògunato.”
“In questo caso non ci rimane altro da discutere.” Yoshi sospirò e i suoi occhi si ridussero a due sottili fessure. “Allora, mi rattrista dirlo, l'imperatore avanzerà una nuova richiesta: che tu ritiri dalle Porte e da Kyòto tutti i tuoi uomini.” Ogama lo fissò con altrettanta freddezza. “Ne dubito.”
“Io, Toranaga Yoshi, te lo garantisco. Tra sei o sette giorni lo shògun Nobusada e sua moglie saranno nel palazzo. In veste di Guardiano ho immediato accesso presso di loro, e presso di lei. Entrambi riconosceranno la bontà del mio ragionamento sulle Porte e su molte altre cose.”
“A cosa alludi?”
“Le Porte non dovrebbero costituire un problema per te, Ogamadono. Ti darò la garanzia che non passerà come un mio trionfo su di te, ma accetterò “con gratitudine il tuo gentile invito ad assumerne il controllo” e non le fortificherò contro di te. Dove risiede la difficoltà?
Le Porte sono soprattutto un simbolo. Ti ripeto formalmente che, onde garantire la pace e assicurare l'ordine nel paese finché Anjo è in carica, le Porte devono essere affidate allo shògunato.” Ogama esitò, perplesso. A Yoshi non sarebbe stato difficile ottenere che gli venisse inviata una “richiesta” del genere, e lui l'avrebbe dovuta accettare.
“Ti darò una risposta tra un mese.”
“Molto spiacente, il limite massimo scade tra sei giorni a mezzogiorno.”
“Perché?”
“Nobusada sarà a Otsu tra cinque giorni. Entro il crepuscolo del sesto giorno Nobusada attraverserà le Porte. Chiedo di prenderne possesso, possesso temporaneo, prima di allora” disse Yoshi con tono estremamente gentile ed educato.
Si fissarono.
“Ci penserò, Yoshi-dono” concluse Ogama con voce neutra ma altrettanto gentile.
Poi si inchinò, Yoshi si inchinò a sua volta, entrambi si avviarono verso i loro palanchini e tutti nella piazza sospirarono, sollevati che la prova di forza fosse finita senza il temuto spargimento di sangue.
Capitolo 31
†
Venerdì, 21 novembre
Nella stazione di transito di Otsu le attività fervevano sin dal mattino, in un crescendo di eccitazione e di paura a causa degli ultimi preparativi per la sosta notturna dei sommamente augusti visitatori, lo shògun Nobusada e la principessa Yazu.
Gli abitanti si dedicavano da settimane a spazzare le strade, a pulire le case, le casupole e gli annessi e a sistemarne i tetti, i muri, le verande, acquistando tegole, shoji e tatami nuovi.
La Locanda dei Mille Fiori, la migliore di tutta Otsu, era quasi nel panico.
Tutto era cominciato con l'arrivo della notizia che i Venerabili Viaggiatori, invece di sostare nel vicino castello di Sakamoto, di proprietà dello shògunato e vanto della regione sin dall'epoca precedente a Sekigahara, avevano accordato la loro preferenza alla locanda.
“Dovrà essere tutto perfetto!” aveva piagnucolato il proprietario, allo stesso tempo estasiato e terrorizzato dalla prospettiva.
“Chiunque, uomo, donna o bambino, mancherà al suo dovere sarà punito con il licenziamento o, minimo, con una frustata! I racconti dell'onore reso in quest'unica notte alla nostra locanda si tramanderanno nei secoli! E così anche il nostro successo o il nostro fallimento. Sua altezza lo shògun in persona? In tutte la sua gloria? Sua moglie, sorella del Dio? Oh ko... “
Nel tardo pomeriggio, coperto da un velo, circondato dalle guardie e dai consiglieri e ben protetto agli sguardi, lo shògun Nobusada scese in fretta dal palanchino e con la principessa e il seguito di guardie personali, servitori, dame di compagnia e domestiche varcò i cancelli della locanda. Intorno all'appartamento riservato allo shògun e all'annesso padiglione del bagno erano stati destinati all'uso del seguito quaranta case tradizionali, ciascuna composta di quattro stanze.
Le verande coperte, collegate tra loro, formavano un labirinto di piacevoli sentieri e ponti sui graziosi laghetti e sui ruscelli che sgorgavano da montagne in miniatura.
L'intero quartiere residenziale era circondato da un'alta siepe di abeti, fitta e ben potata.
La stanza era calda e immacolata, con tatami nuovi e bracieri a carbone lucidati a specchio. Nobusada, stanco e lamentoso, gettò in un angolo il copricapo velato e i mantelli. Come sempre il palanchino si era dimostrato scomodo e la strada accidentata.
“Già odio questo posto” disse al ciambellano, inchinato con la testa sul pavimento come le cameriere.
“E' troppo piccolo, puzza e io ho male dappertutto! Il bagno è pronto?”
“Ah, si, sire, tutto è come avete disposto.”
“Siamo finalmente a Otsu, sire” esultò la principessa Yazu entrando con alcune dame di compagnia. “Domani arriveremo a casa, vedrete, sarà magnifico.” Lasciò cadere l'enorme cappello velato e i mantelli che le cameriere si affrettarono a raccogliere. “Domani saremo a casa! A casa, sire! Sarà valsa la pena di saltare qualche tappa.”
“Oh, si, Yazu-chan, se lo dite voi” rispose lui sorridendo, subito contagiato dalla sua esuberanza.
“Conoscerete tutti i miei amici, cugini, zii, zie, la sorella maggiore e quella minore, il mio amato fratellastro Sachi, che sta per compiere nove anni, e centinaia di parenti più lontani...” disse volteggiando per la gioia.
“E tra qualche giorno incontrerete l'imperatore, che vi accoglierà come un fratello e risolverà tutti i nostri problemi, così potremo vivere in pace per il resto dei nostri giorni. Fa freddo qui dentro. Perché non è tutto pronto? Dov'è il bagno?”
Il ciambellano, un uomo sulla cinquantina corpulento e brizzolato, con una grande pappagorgia e pochi denti in bocca, li aveva anticipati di un giorno con una squadra di domestici e di cuochi. Avevano sistemato gli appartamenti e preparato cibi e frutta speciali, badando di cuocere riso fino in abbondanza come richiedevano il delicato stomaco dello shògun e i capricci della principessa. Le superbe composizioni floreali che rallegravano le stanze erano state create da un maestro di ikebana. Il ciambellano si inchinò ancora, maledicendo tra sé la principessa.
“Farò portare i bracieri addizionali, sono già caldi, Altezza imperiale. Il bagno e lo spuntino sono già pronti, come voi e lo shògun Nobusada avete ordinato.
La cena sarà sontuosissima...”
“Emiko, vieni! Il nostro bagno!” Subito la sua dama di compagnia favorita la scortò nel corridoio, protetta da uno sciame di signore e di cameriere come richiedeva la sua posizione di ape regina. Nobusada fissò il ciambellano pestando il suo piccolo piede sul pavimento. “Cosa aspettate?
Mostratemi subito il bagno e mandatemi la massaggiatrice, voglio che mi strofini la schiena. E accertatevi che regni il più perfetto silenzio. E' vietato fare qualsiasi rumore!”
“Sì, sire, il capitano ha ripetuto il vostro ordine ai suoi uomini ogni giorno. Mando subito la massaggiatrice nel padiglione del bagno, sire.
Sako arriverà...”
“Sako? Non è brava come Meiko, dov'è Meiko?”
“Spiacente, è ammalata, sire.”
“Ditele di guarire entro il tramonto! Non mi stupisce che si sia ammalata.
Sto male anch'io! Questo orribile viaggio! Baka! Da quanti giorni siamo per strada? Ne occorrono almeno cinquantatré, invece noi ne abbiamo impiegati molti meno... perchè tutta questa fretta... ?”
Il capitano della scorta, un uomo barbuto sulla trentina, famoso e abile maestro d'armi, aspettava il ciambellano in giardino. Il suo aiutante lo raggiunse di corsa.
“Ho controllato tutto, signore.”
“Bene. Ormai dovrebbe andare tutto da sé” disse il capitano con voce stanca e tesa. Entrambi indossavano leggere armature da viaggio e, sopra le giacche, i cappelli e i pantaloni dello shògunato, e portavano due spade. “Ancora un giorno e poi i nostri guai peggioreranno. Non riesco a capire come il Consiglio e il Guardiano abbiano potuto dare il loro consenso a un'impresa tanto pericolosa.“
“Sì, capitano” assenti l'aiutante che si sentiva ripetere le stesse frasi da giorni. “Ma almeno saremo nelle nostre caserme, con centinaia di uomini in più.”
“Non bastano, non bastano mai, non saremmo dovuti partire. Ma lo abbiamo fatto e il karma è il karma. Controllate gli altri uomini e assicuratevi che il turno di guardia della sera sia stato ben organizzato.
Poi dite anche al capo scudiere di dare un'occhiata alla mia cavalla, si dev'essere spezzata lo zoccolo della zampa sinistra...” In Giappone i cavalli non venivano ferrati.
“Si è imbizzarrita passando attraverso la barriera. Poi tornate a riferirmi.” L'uomo corse via.
Il capitano era più soddisfatto del solito. L'ispezione dell'area su cui sorgeva la locanda, recintata in tutto il suo perimetro da un altissimo steccato di bambù, e in particolare di quel settore, protetto dalla siepe e con un unico cancello di ingresso, lo aveva rassicurato. Gli appartamenti dello shògun erano ben difendibili, nella locanda quella notte non avrebbero dormito ospiti estranei e tutte le guardie conoscevano la parola d'ordine e avevano ben chiaro il loro compito principale: nessuno doveva avvicinarsi entro un raggio di cinque metri allo shògun e a sua moglie senza autorizzazione.
Anche chi era dotato di un permesso doveva essere disarmato, salvo il Guardiano, i membri del Consiglio degli Anziani, il capitano stesso e le guardie che eventualmente lo accompagnavano. La pena per chi non rispettava quella consegna, nota a tutti, era la morte, sia per il trasgressore che per le guardie disattente, e solo lo shògun in persona in quei casi avrebbe potuto concedere la grazia.
“Ah, ciambellano! Ci sono cambiamenti nei piani?”
“No, capitano.” L'uomo più anziano sospirò e si passò una mano sulla fronte.
“Gli Augusti stanno facendo il bagno come d'abitudine, poi come d'abitudine riposeranno, al tramonto come d'abitudine faranno un vero bagno con massaggio, come d'abitudine ceneranno, come d'abitudine giocheranno a Go e andranno a letto. E' tutto in ordine?” chiese con il doppio mento tremante.
“Qui sì.” Il capitano comandava una guarnigione di centocinquanta samurai effettivi in un'area che misurava circa duecento metri quadrati.
Una squadra di dieci uomini era di guardia all'unico ingresso, un bel ponte su un ruscello che conduceva ad alti pilastri scolpiti e cancelli anch'essi decorati.
Altri samurai, uno ogni dieci passi, stazionavano intorno alla siepe perimetrale e avrebbero ricevuto il cambio da nuovi contingenti scelti tra i seicento uomini alloggiati nelle caserme esterne e nelle altre locande del vicinato.
Altri ancora perlustravano silenziosamente il giardino e il recinto badando a non farsi vedere poiché il minimo rumore e la vista di un samurai avrebbero scatenato le ire della principessa, e di conseguenza quelle del marito.
Sopra di loro le nuvole, agitate da un forte vento, si stavano addensando, e il debole sole velato ancora non aveva raggiunto l'orizzonte.
Faceva freddo e la serata prometteva di essere ancora più rigida. I domestici stavano accendendo le lanterne disseminate tra gli arbusti del giardino e già il bagliore si rifletteva negli specchi d'acqua e nelle rocce appositamente bagnate per brillare.
“E' bello qui” disse il capitano. “E' di gran lunga il migliore dei posti in cui ci siamo fermati, anche se le altre locande non erano male.” Era la prima volta che affrontava un viaggio del genere. In tutta la sua vita non si era mai mosso dal circondario del castello di Edo, sempre al fianco o nei pressi di Nobusada o del precedente shògun. “Bello, si, ma avrei preferito che lo shògun e la sua signora alloggiassero nel castello di Sakamoto. Avreste dovuto insistere.”