E' ridicolo che stiano qui, le stanze sono già abbastanza piccole e orribili!
Siete così inetto da non saper difendere una locanda squallida e minuscola come questa? E noi dovremmo fare il bagno, dormire e mangiare sotto gli occhi delle guardie? Andatevene, questa notte non voglio guardie intorno!”.
“Ma sire, devo assicurare...”
“Non insistete. Dentro alla siepe non voglio nessuna guardia. L'udienza è finita!” Il capitano non aveva scelta, ma neppure ragione di preoccuparsi, perchè certamente tutto era sotto controllo.
I primi rumori dell'attacco, attutiti dalla siepe, che formava una sorta di barriera acustica naturale, gli giunsero mentre stava completando con quattro uomini l'ultimo soddisfacente giro di ricognizione nel recinto interno.
Precipitatosi all'ingresso, aveva visto con orrore quattro uomini che si scagliavano contro la siepe e altri due che correvano verso il cancello. Temendo per la vita dello shògun, era corso nel padiglione del bagno. “Cosa succede?” gridò sorpreso il ciambellano.
“Siamo attaccati, fate uscire lo shògun dal bagno!”
“Non è qui, è con il medico...” Sgomento il capitano si precipitò direttamente agli appartamenti dove non trovò nessuno. Una cameriera spaventata lo informò che lo shògun era in una delle stanze che si affacciavano sulla veranda vicina, ma quando uscì già i due uomini erano partiti all'attacco. Non aveva più modo di difendere lo shògun. Ma se sono giunti fin qui, si era detto, forse non si sono accorti dell'onorevole signore...
Adesso doveva assolutamente scoprire se lo shògun era incolume, o la sua stessa vita sarebbe finita. Ma lo trovò subito: Nobusada era in preda a una crisi di tosse e delirava, ancora terrorizzato e circondato da una folla che alimentava la confusione. Non appena gli comunicarono che anche la principessa era salva, seppure a sua volta in preda a una crisi isterica, il suo panico cessò.
Senza degnare di attenzione l'ira di Nobusada, si rivolse gelido ai soldati sgomenti: “Mandate subito un messaggero e quattro uomini ad avvisare la prossima postazione. Tutte le guardie, a eccezione del presente turno, si radunino qui di corsa.
Voglio cinquanta uomini nel quartiere residenziale, due per ogni angolo di ciascuna veranda. E altri dieci uomini di guardia allo shògun, non lo dovranno mai perdere di vista finché lui e la principessa non saranno al sicuro tra le mura del palazzo”.
Nella tarda mattinata dell'indomani, all'interno delle mura di quello stesso palazzo, Yoshi camminava di fretta sotto una fitta pioggerellina nella cerchia più esterna dei giardini. Lo accompagnava il generale Akeda.
“E' estremamente pericoloso spingersi fin qui, sire” gli disse Akeda, temendo che in ogni cespuglio e in ogni boschetto, per quanto ben sorvegliati, si celasse un nemico.
I due uomini indossavano armature leggere e le spade, una rarità in quella zona dacché era impedito l'accesso ai samurai e a chiunque fosse armato, a eccezione dello shògun regnante accompagnato da quattro guardie personali, al capo degli Anziani e al Guardiano dell'Erede.
Era quasi mezzogiorno.
Dato il loro ritardo non si attardarono ad apprezzare le bellezze che li circondavano, i laghi, i ponti, i cespugli in fiore e gli alberi ben curati e potati da secoli. Al loro passaggio i giardinieri rimanevano inchinati finché non li perdevano di vista. Aveva piovuto in modo intermittente tutta la mattina e sopra le armature i due indossavano mantelli di paglia. Yoshi affrettò il passo.
Non era la prima volta che si recava a un incontro clandestino all'interno delle mura del palazzo. Era un territorio sicuro, ma la sicurezza non bastava mai. Dovunque era molto difficile avere un incontro veramente sicuro con una spia, un informatore o un avversario, e praticamente impossibile poi averlo in segreto, senza dover temere imboscate, avvelenamenti, arcieri in agguato.
Era così per tutti i daimyo. Yoshi sapeva bene di non avere mai un'assoluta garanzia di sicurezza, tanto che il padre e il nonno gli avevano insegnato ad accettare che la morte per vecchiaia non facesse parte del loro karma.
“Qui siamo più al sicuro che altrove” disse. “E' impensabile che qualcuno scelga questo posto per rompere la tregua.”
“Sì, tranne Ogama. E un bugiardo, un baro, merita che la sua carne venga data in pasto agli avvoltoi e la sua testa infilzata su un palo.”
Yoshi sorrise e si sentì meglio.
Da quando lo avevano svegliato nel cuore della notte per dargli la notizia dell'attacco degli shishi, si era scoperto più nervoso che mai, più di quando, alla morte dello zio, Nobusada era stato nominato shògun al suo posto, più nervoso di quando il tairò aveva fatto arrestare lui e suo padre e tutti i familiari mandandoli a marcire in quelle luride stanze.
Aveva subito disposto che una spedizione di duecento uomini partisse per incontrare il corteo alla barriera di Kyòto e all'alba aveva mandato in segreto Akeda a riferire a Ogama l'accaduto e a dargli ragione del drappello così numeroso di militi in assetto di guerra in partenza dal suo recinto.
“Riferite a Ogama tutto quanto sappiamo e rispondete a ogni sua domanda.
Non commettete errori, Akeda.”
“Non ne commetterò, sire.”
“Bene. Poi consegnategli la lettera, ed esigete una risposta immediata.” Yoshi non comunicò ad Akeda il contenuto della lettera, né il generale chiese alcunché. Al suo ritorno Yoshi lo pregò di riferirgli tutto con precisione.
“Ogama ha letto la lettera due volte e due volte ha sputato imprecando. Poi l'ha passata al suo consigliere, Basuhiro, che dopo averla letta con la sua solita faccia rigida, ripugnante e butterata da cui non traspare mai niente, ha detto 'Forse ne dovremmo parlare in privato, sire'.
Io ho detto loro che avrei aspettato, l'ho fatto e dopo un ragionevole lasso di tempo Basuhiro è uscito e mi ha detto 'Il mio signore è d'accordo, ma io e lui verremo armati'.
A cosa si riferiva, sire?” Quando Yoshi lo mise al corrente dell'incontro, il vecchio avvampò.
“Avete chiesto di vederlo da solo, accompagnato solo da me e da nessun'altra guardia? E una follia, anche se lui vi assicura che verrà solo con Basuhiro...”
“Basta!” Yoshi era consapevole di correre un grande pericolo, eppure doveva rischiare, per ottenere la risposta in merito alle Porte. Poi, un attimo prima che lui e Akeda uscissero dal campo, una delle numerose spie dello shògunato gli aveva riferito il contenuto di alcune conversazioni avvenute alla Locanda dei Pini Fruscianti tra lo shishi Katsumata e i suoi compagni, e adesso era perfettamente soddisfatto di aver promosso l'incontro.
“Eccolo!” Ogama, come avevano concordato, lo aspettava con Basuhiro all'ombra di un grande albero frondoso. I due erano guardinghi, sospettando qualche tradimento, ma non visibilmente nervosi come Akeda.
Dietro suggerimento di Yoshi, Ogama si era recato sul luogo dell'appuntamento passando dalla porta Sud, mentre Yoshi veniva da quella Est, lasciando fuori ad attenderlo il palanchino e le guardie munite di salvacondotto. Dopo la riunione sarebbero usciti tutti e quattro insieme dalla porta Est.
I due avversari si andarono incontro per parlare da soli come già avevano fatto. Akeda e Basuhiro restarono a osservarli preoccupati.
“Insomma!” disse Ogama dopo i saluti formali.
“Un pugno di shishi penetra un cordone di centinaia di guardie come un pugnale trapassa lo sterco e prima di farsi catturare quasi si infilano nel bagno, nel letto e nella moglie nuda di Nobusada. Erano in dieci, hai detto?” Tre erano ronin choshu, compresi i due che hanno attraversato la siepe, e uno di loro era il capo.”
Yoshi, ancora in preda alla paura che lo aveva assalito dopo la notizia dell'attacco, si chiese se sarebbe stato il caso di sfoderare la spada approfittando della rara opportunità di trovarsi da solo con Ogama. Basuhiro non costituiva una minaccia, che Akeda intervenisse o meno.
In un modo o nell'altro Ogama deve morire, pensò, ma non è ancora il momento. Non adesso che duemila choshu presidiano le Porte e io sono in ostaggio.
“Sono morti tutti. Sono solo riusciti a uccidere qualche guardia e a ferirne alcune che presto li seguiranno all'altro mondo. Dicono che hai promesso l'amnistia a tutti i ronin del tuo feudo di Choshu, è vero?” chiese con voce tesa domandandosi ancora una volta se Ogama avesse segretamente promosso quel piano impeccabile, fallito solo per caso. “Anche se sono shishi?”
“Sì” rispose Ogama con un freddo sorriso. “Tutti i daimyo dovrebbero fare lo stesso, è un modo semplice e veloce per controllare i ronin, shishi o non shishi. Sono un'epidemia che va fermata.”
“Sono d'accordo, ma non sarà l'amnistia a fermarli. Posso chiederti quanti ronin hanno già accettato la tua offerta?” Ogama scoppiò in una dura risata. “Ovviamente non quelli che hanno partecipato all'attacco!
Fino a ora uno o due, Yoshi-dono. Ma quanti sono in tutto, cento? Non arrivano a duecento, di cui venti o trenta forse vengono da Choshu. Ma quello non c'entra.” Il suo volto si indurì.
“Se è questo che vuoi sapere, non ho progettato l'attacco e non ne ero al corrente.” Sorrise senza bonomia. E' impensabile come si possa concepire un progetto così infido, vero? Se io e te lo volessimo non ci sarebbe difficile neutralizzare gli shishi. Ma la loro parola d'ordine non è altrettanto facile da annientare, sempre che vada annientata. Il potere deve tornare all'imperatore e i gai-jin devono essere cacciati. Sonnojoi è una bella parola d'ordine, non trovi?”
“Avrei molte cose da dire a questo proposito, Ogama-dono, ma gli alleati non devono tartassarsi a vicenda. E noi siamo alleati, sei d'accordo?” Ogama annuì. “In linea di principio, sì.”
“Bene” disse Yoshi nascondendo lo stupore che Ogama avesse accettato le sue condizioni.
“Entro un anno tu sarai il capo degli Anziani e a partire da questo momento io presidierò le Porte.” Si voltò per andarsene.
“Accetto tutto quello che hai proposto. Salvo le Porte.” La vena sulla fronte di Yoshi cominciò a pulsare visibilmente. “Ma ti ho spiegato perchè mi servono le Porte.”
“Spiacente.” Ogama, pur avendo spostato i piedi in una posizione più adatta al combattimento, non strinse la presa sull'elsa della sua spada.
“L'alleanza segreta, sì, la guerra contro Tosa, sì, contro Satsuma, sì, ma le Porte no. Mi dispiace.”
Per un attimo Yoshi Toranaga tacque e si limitò a fissarlo. Ogama ricambiò l'occhiata senza paura, pronto a combattere. Poi Yoshi sospirò e asciugò le gocce di pioggia dal bordo del largo cappello.
“Ci tengo molto a stringere un'alleanza con te, e gli alleati si devono aiutare l'uno con l'altro. Forse ho una soluzione di compromesso, ma prima voglio darti un'informazione preziosa: Katsumata è qui, a Kyòto.” Il sangue salì al volto di Ogama. “Non è possibile, le mie spie mi avrebbero informato.”
“E' qui già da qualche settimana.“
“A Kyòto non ci sono uomini di Sanjiro, tanto meno Katsumata. Le mie spie me lo...”
“Spiacente” disse Yoshi con garbo, “invece Katsumata si trova qui, nascosto, ma non in veste di ricognitore o di spia di Sanjiro, almeno non apertamente. Katsumata è uno shishi, un sensei degli shishi ed è il capo degli shishi qui a Kyòto. Il suo nome di battaglia è Corvo.” Ogama lo guardò a bocca aperta. “Katsumata è il capo degli shishi?”
“Sì. E' qualcosa di più. Pensaci: non è forse da molto tempo il consigliere militare più fidato di Sanjiro? Con il suo falso accordo, per volontà di Sanjiro, non ti ha ingannato sconfiggendoti a Fushimi e permettendo a Sanjiro di scappare? E questo non significa che Sanjiro di Satsuma è il capo segreto degli shishi e che tutte le loro azioni fanno parte del piano di Sanjiro per detronizzare tutti noi, soprattutto te, e diventare shògun?”
“Certo, quella è sempre stata la mira di Sanjiro” disse Ogama, interdetto ora che molti avvenimenti fino a quel momento incomprensibili trovavano una spiegazione. “Se controlla anche tutti gli shishi ...” si fermò, infuriandosi all'improvviso per non essere stato informato da Takeda.
Perché? Takeda non è più una mia spia, un vassallo segreto di cui posso fidarmi? “Dove si trova adesso Katsumata?”
“Un tuo drappello lo ha quasi preso in un'imboscata qualche giorno fa, alla locanda dei Pini Fruscianti.”
Ogama si trattenne a stento dallo sputare.
“Era lì? Sapevamo che alcuni shishi alloggiavano lì, ma non mi hanno detto...”
Si infuriò ancora con Takeda, che non lo aveva informato che il suo odiato nemico era a portata di mano.
Perché? Non importa, non sarà difficile sistemare Takeda.
Prima di tutto, Katsumata.
Non posso dimenticare che Katsumata ha vanificato il mio attacco a sorpresa contro Sanjiro. Se non fosse per lui, Sanjiro sarebbe morto, io sarei il signore di Satsuma e non sarei costretto a discutere con Toranaga Yoshi, che a quest'ora sarebbe in ginocchio di fronte a me. “Dov'è adesso? Sai dov'è?”
“So dove si nascondeva la notte scorsa. E forse anche dove dormirà questa notte.” Poi, con calma, Yoshi aggiunse: “A Kyòto in questo momento si nascondono più di cento shishi. Stanno progettando un attacco in massa contro di te”.
Ogama, sapendo che non esisteva reale possibilità di difendersi da un assassino fanatico e incurante della morte, rabbrividì. “Quando?”
“Domani al crepuscolo, se l'attacco allo shògun fosse riuscito. E una volta che ti avessero ucciso, grazie agli affiliati tra le tue truppe, si sarebbero impadroniti delle Porte.” A Ogama costò molta fatica non raccontare a Yoshi che proprio l'indomani al crepuscolo, momento perfetto per un attacco a sorpresa, avrebbe dovuto incontrarsi in segreto con Takeda. “E ora che il piano è fallito?”
“Secondo le informazioni di cui dispongo, i capi si riuniranno questa notte per prendere le loro decisioni. E, formalmente, dopo Nobusada e me, tu sei in cima alla lista dei loro obiettivi.”
“Perché?” sbottò Ogama. “Io sostengo l'imperatore, sostengo la lotta contro i gai-jin.” Yoshi sorrise tra sé conoscendo bene la risposta. “Uniamo le nostre forze questa sera. So dove si riuniscono, dove Katsumata e la maggior parte dei capi shishi si incontreranno... nella zona della città in cui c'è il coprifuoco dal tramonto all'alba.” Ogama esalò un sospiro. “Qual è il prezzo?”
“Prima dobbiamo parlare di qualcosa che ci riguarda entrambi.” Con ulteriore sgomento di Ogama, Yoshi espose i dettagli dell'incontro degli Anziani con sir William e gli altri ministri, parlò della sua spia Misamoto, della minaccia di sir William di sferrare un attacco non appena fosse tornata la flotta e di come quella minaccia e il pagamento dell'indennità erano stati elusi fino a quel momento.