Ritual (34 page)

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Authors: William Heffernan

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Ritual
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«Certamente no. Perché mai...»

Di nuovo lui la interruppe e nella sua voce pacata trapelava una nota di minaccia. «Niente imbrogli con me.» Le puntò un dito contro. «Quando avremo finito, saprò tutto di lei. Tutto. Quindi non s'illuda di poter fare chissà quale giochetto.» Tornò a protendersi sulla scrivania, il viso aggrondato. «Ci troviamo davanti a un assassino. Un degenerato che se ne va in giro a mutilare donne innocenti. Che ha ucciso un ex poliziotto... un collega. E io voglio mettere le mani su quel rifiuto umano. Voglio inchiodarlo... o
inchiodarla
,
ridurlo a un niente. E nessuno,
nessuno
mi fermerà.» Continuò a fissarla, dandole il tempo di assorbire le sue parole. Le labbra di Kate cominciarono a tremare, il suo viso si fece pallido.

«Dov'era ieri sera verso mezzanotte?»

«A casa. Dormivo,» rispose lei, e la voce le tremava un po'.

«Sola?»

«Sì. Vivo sola.» L'immagine di loro due insieme a letto le balenò alla mente, ma lui se n'era andato parecchio prima di mezzanotte, ricordò a se stessa. Che razza di gioco stava giocando?

«Non le ho chiesto se vive sola. Le ho chiesto se lo era ieri sera a mezzanotte.»

Negli occhi di Kate balenò un lampo di collera. «Sì,» disse gelida. «A mezzanotte ero sola, a letto, e dormivo.»

Rolk tacque, gli occhi fissi in quelli di lei. «Un vero peccato,» osservò alla fine, interrompendosi di nuovo per enfatizzare il significato delle proprie parole. La vide arrossire lievemente e aggiunse: «Sarebbe stato simpatico se avesse avuto un alibi.» Tacque di nuovo, senza smettere di fissarla. «Grazie per essere venuta,» la congedò infine.

 

Malcolm Sousi gettò all'indietro la testa e rise. «Che effetto mi farebbe tagliare la testa a qualcuno?» chiese, ripetendo la domanda. «Be', le dirò una cosa, tenente. Sotto questo profilo credo che sia molto meglio dare che ricevere.»

L'altro lo fissò senza sorridere. «L'ha mai fatto, Sousi?»

Un sogghigno stirò le labbra dell'antropologo, mettendo a nudo i denti perfetti. «Non di recente.»

«Non faccia il furbo con me,» ringhiò Rolk.

«Allora non mi faccia domande stupide,» replicò Sousi di rimando.

Rolk si appoggiò allo schienale della sedia, atteggiando le labbra a un sorriso falso. «Mai pensato di uccidere qualcuno?»

«Sicuro. Più o meno una volta alla settimana, considerando gli idioti con cui ho a che fare. Ma fino a oggi sono riuscito a reprimere i miei impulsi.»

«Lei è una persona brillante,» riprese il poliziotto. «Oh, sì,» annuì tra sé. «Ho dato un'occhiata al suo curriculum. Davvero brillante. Se non che parecchi dei suoi insegnanti la consideravano un grosso seccatore egocentrico. Lo sapeva?»

«Diciamo che la cosa non mi sorprende,» fu la risposta di Sousi. «Se solo si pensa alla qualità dell'istruzione d'oggigiorno...»

Rolk sorrise di nuovo. «Sa, avevo previsto una risposta del genere. Ma mi dica dei suoi colleghi. Anche loro la considerano una seccatura? La dottoressa Mallory, per esempio.»

Lo sguardo di Sousi s'indurì. «Dovrà chiederlo a lei, tenente. Ma non ho ricevuto spesso lamentele a proposito del mio lavoro, se è questo che voleva sapere. Né me le aspettavo.»

«Se la cava bene, eh?»

«Molto bene, tenente.»

«Che cosa mi dice dei suoi genitori? Anche loro avevano una così alta opinione di lei? O magari le allungavano uno scapaccione di tanto in tanto?»

Ancora una volta Sousi gettò all'indietro la testa e rise. Ma i suoi occhi rimasero duri. «No, tenente. Nessun maltrattamento.
I
miei genitori erano degli intellettuali. Non credevano all'uso della cinghia.»

«È fortunato a non essere figlio mio,» disse Rolk, fissandolo negli occhi.

«Sì,» assentì l'altro. «Soprattutto perché ci tenevo ad avere un buon punteggio quando mi sono sottoposto ai test per il quoziente d'intelligenza.»

Rolk lo ignorò, circostanza che parve infastidirlo ancora di più. «Ha mai ucciso? Un animale, per esempio?»

«Vuole sapere se ho mai strappato le ali alle mosche, tenente? Certo. Ero il classico bambino vivace, viziato. Ma per certe caratteristiche ti definiscono 'intellettualmente curioso' quando provieni da una buona famiglia. O non lo sapeva?»

Ancora una volta Rolk lo ignorò, e ancora una volta questo sembrò frustrarlo e irritarlo. «Dov'era ieri sera verso mezzanotte?» domandò il poliziotto con voce pacata.

«A letto.» Sousi esitò, ma non per riluttanza, quanto perché era alla ricerca di un effetto. «Con una signora.»

«Il nome?»

L'antropologo gli sorrise. «Non abbiamo fatto in tempo a presentarci,» rispose.

Rolk fece un cenno con la testa. «Peccato. Le avrebbe reso le cose più facili.» Scribacchiò qualcosa sul taccuino che aveva davanti, poi alzò gli occhi. «Grazie per essere venuto.»

Sousi si avviò verso la porta, ma la voce di Rolk lo fermò. «Ancora una cosa, dottore. La signora si è divertita?»

L'altro si voltò a fulminarlo con un'occhiata e ancora una volta Rolk annuì, sorridendo leggermente. «No. Immagino di no.»

 

Grace Mallory sedeva rigida, il viso impassibile, gli occhi privi di espressione. Rolk credeva di comprendere il perché di quella ostilità, risultato della perquisizione che in qualche modo aveva esposto a occhi indiscreti la sua vita privata. Lei, pensò, non li avrebbe mai perdonati.

Lo sguardo della scienziata si fece sarcastico quando Rolk le pose la prima domanda e nella sua voce si sentì il disprezzo. «Credo che tutto dipenda dal proprio tipo di cultura. Per alcuni è una necessità religiosa. Per altri una punizione grave, tale perfino da negare alla vittima la vita eterna.»

Rolk si sporse verso di lei. «Non stiamo speculando su diverse appartenenze culturali. Le sto chiedendo come vivrebbe una simile esperienza in base alla
sua
cultura.»

La Mallory si strinse nelle spalle. «Immagino che sia un modo di uccidere più misericordioso di altri. Almeno, la scienza moderna sembra pensarla così. In realtà non possiamo saperlo per certo, le pare?»

La freddezza di quella risposta parve diffondersi nella stanza, raggelando lo stesso Rolk.

«Ha mai ucciso qualcosa, dottoressa?» Si fissarono con occhi duri.

«Animali.»

«Mi racconti.»

La donna serrò le labbra in una linea sottile. «A volte, durante gli scavi, ci capita di imbatterci in qualche animale ferito gravemente. E in queste occasioni uno di noi... io, a volte, mette fine alla sua agonia. Questo risponde alla sua domanda?»

«Nessuna riluttanza?» chiese Rolk.

«A volte sì, naturalmente. Non sto dicendo che accadeva ogni giorno. Ma quando era necessario, facevamo la cosa più ragionevole. Non ho mai attribuito alcun valore, né un significato religioso alla sofferenza inutile.»

«Immagino che a volte nel suo lavoro abbia subito delle discriminazioni. Qual è la sua reazione in proposito?»

«Quale crede che sia, tenente?» Grace parlò in tono tagliente, lasciando libero sfogo alla sua acrimonia. «Disprezzo certi atteggiamenti. Ma come gran parte delle donne, cerco di farmi strada attraverso le difficoltà, oppure aggirandole. Le alternative non sono molte, se si esclude la rivoluzione. E siete voi uomini ad avere i fucili.»

Rolk si chinò in avanti, in un atteggiamento quasi cospiratorio. «Preferisce trattare con le donne?» suggerì.

La reazione fu quella che aveva previsto. Negli occhi di lei comparve un'espressione sofferente e il suo corpo si irrigidì. Per un istante a lui parve di vedere le lacrime gonfiarle gli occhi, ma se c'erano, lei fece in fretta a ricacciarle indietro. Avvertì una fitta di rimorso e di vergogna, ma si costrinse a ignorarla, deciso a portare a termine quello che aveva cominciato.

Grace gli sorrise, sollevando il mento con fare orgoglioso. «Sì, tenente, lo preferisco. Trovo che le donne siano maggiormente dedite al loro lavoro... a vantaggio del lavoro stesso... e molto meno interessate ai benefici personali che possono derivarne. Capisce, i problemi di ego da affrontare sono minori quando ci si trova in una posizione di comando.»

Rolk fece per parlare, ma lei lo fermò. «E, sì, tenente, preferisco la compagnia femminile anche nella vita privata. Mi piacciono le persone piene di calore e ne trovo ben poche fra gli uomini.»

Ancora una volta lui avvertì quella punta fastidiosa di vergogna e ignorarla gli fu più difficile. Per qualche istante si guardò le mani e quando riprese a parlare la sua voce era calma. «Le vittime, almeno quelle la cui morte sembra seguire il rito tolteco, erano donne. Lo trova significativo?»

La Mallory chiuse gli occhi e quando li riaprì il suo sguardo era tornato neutro. «Trovo la morte poco significativa, tenente. È semplicemente una cosa che accade. A volte per una ragione precisa, altre così, senza scopo. Considerata la sua professione, avrei pensato che fosse arrivato anche lei a una conclusione simile.»

«Vede qualche ragione in
questi
omicidi?» insistette Rolk.

Grace Mallory lo fissò negli occhi. «Sì, ne vedo una, tenente.» Tacque, poi riprese: «Pazzia. Pura e semplice pazzia.»

 

Padre Lopato aveva l'aria di chi non dorme da giorni. Il suo viso si era fatto cadaverico, gli occhi infossati e le guance scavate che gli davano un'espressione sparuta. Era vicino al crollo, pensò Rolk. Vicinissimo.

Il sacerdote si tormentava nervosamente le mani e teneva le spalle curve, come chi è stato percosso senza pietà ed è di nuovo costretto ad affrontare il suo aggressore.

«Siamo vicini alla fine, non è vero?» bisbigliò. «Tutto si sta preparando per un atroce finale.»

Quell'esordio colse Rolk di sorpresa. «Perché dice questo?»

Il prete sorrise a fatica. «Lo sento. Così come l'ho sentito già una volta, in passato. Assomiglia alla strana quiete che si instaura prima di una brutta tempesta. Immagino che fosse così anche nelle antiche città maya prima di una cerimonia importante; la gente sapeva che ci sarebbe stata un'orrenda carneficina, ma la credeva necessaria, anche se quella consapevolezza tormentava il loro animo, il lato più gentile della loro natura. Ho il sospetto che in quelle occasioni si mantenessero docili e sottomessi.»

«E lei crede che sia necessario... questa carneficina finale che stiamo aspettando?»

Un'espressione di panico e orrore si dipinse sul viso di Lopato. «Mio Dio, no. Se potessi fermarla, lo farei. Se potessi aiutare qualcun altro a fermarla, lo farei.»

«Ha già tentato di farlo, non è vero? Nello Yucatán.»

«L'ho fatto davvero?» mormorò il sacerdote, parlando più a se stesso che a Rolk. «Ho cercato di mostrare loro una strada diversa, un diverso percorso religioso. Ma non ha funzionato. Forse perché non ero all'altezza.»

«Dunque sapeva chi c'era dietro di loro?»

«Avevo dei sospetti, ma null'altro.»

«E adesso? Ha dei sospetti anche adesso?»

Lopato lo fissò dritto in faccia, quasi sperando di leggervi comprensione, di trovarvi qualcosa a cui aggrapparsi. «Dev'essere qualcuno che ha a che fare con la mostra,» disse, e la sua voce era carica di dolore. «In un primo tempo mi sono sforzato di persuadermi che non poteva essere. Ma non ci sono altre spiegazioni. E tutti noi, tutti quelli che tra noi collaborano a questa mostra, erano nello Yucatán quando accadde.»
I
suoi occhi saettarono per la stanza, tornarono a posarsi su Rolk. «Non capisce? Dev'essere questo il rapporto.»

«Di chi sospetta, padre?»

Il sacerdote aveva distolto di nuovo lo sguardo e lo teneva fisso nel vuoto. Scosse piano la testa, come se quella fosse l'unica risposta che era in grado di dare.

«È lei, padre?» domandò ancora Rolk.

Lentamente Lopato sollevò gli occhi su di lui. «No,» bisbigliò. «Non sono io.»

«Qual è il suo atteggiamento nei confronti della decapitazione?» La voce di Rolk era tranquilla, per nulla minacciosa.

Un lieve sorriso di deprecazione aleggiò sulle labbra di Lopato. «È morte. E la morte è un qualcosa che non so affrontare.»
I
suoi occhi si riempirono di tristezza. «So che è un'affermazione strana, sulle labbra di un religioso,» continuò. «Noi dovremmo considerare la vita terrena come un semplice preludio a un'esistenza più grande e più gloriosa... e la morte come il ponte per l'eternità che ci attende.» Ora le lacrime gli rigavano le guance. «Ma io non ci riesco. Non più. Non credo più che la morte possa essere fonte di gioia.» Tacque, asciugandosi il viso con il dorso della mano. Ancora una volta tentò di sorridere, ma inutilmente. «La fede di un sacerdote dovrebbe essere sicura e non vacillare mai,» seguitò poi. «Gli altri possono avere dei dubbi... esserne tormentati, ma si suppone che possano rivolgersi ai loro sacerdoti o pastori e trovarvi una fede salda come una roccia che dia loro forza e sostegno. Ma vede, tenente, io ho perso la fede e la cosa più triste è che non so dove l'ho persa.»

Rolk attese. Ora respirava più in fretta e si sentiva vicino, vicinissimo alla soluzione. «A volte, padre,» cominciò in tono gentile, «quando un uomo abbandona un credo, è per adottarne un altro. E a volte questo nuovo credo è ancora più severo di quello a cui ha rinunciato. Lei ha un nuovo credo, padre? Una nuova fede?»

Il prete guardava per terra chiedendosi se, in effetti, non avesse una nuova fede, un nuovo credo, anche se un credo basato sul non credere a niente. Dalla tasca del cappotto estrasse un vecchio rosario e lo strinse tra le dita. «C'è solo una fede, tenente. Vede, io credo ancora. Semplicemente, non so dove e come ritrovarla.»

 

«È stato molto bravo,» dichiarò Greenspan sedendosi sulla sedia fino a quel momento occupata dagli indiziati. «Ha individuato tutti i loro punti deboli e li ha costretti a esporsi più di quanto desiderassero fare.»

Rolk era ancora nauseato dalla recita che aveva condotto, da quel frugare in ferite ancora aperte senza riguardo per le sofferenze che causava. Kate, soprattutto. «Sì, sono stato fantastico,» borbottò. «Ma che cosa abbiamo scoperto, in sostanza?»

«Abbiamo trovato l'assassino?» fu la domanda retorica di Greenspan. «No, non abbiamo trovato l'assassino. Ma abbiamo raccolto molte informazioni nuove sul conto dei nostri indiziati.»

L'espressione di Rolk non mutò. «Già, ma che cosa sappiamo di nuovo a questo punto? O meglio, che cosa sa
lei
? Vogliamo riesaminare tutto quanto, cominciando dal prete?»

Greenspan si appoggiò allo schienale della sedia, le labbra strette, le ciocche disordinate di capelli sopra le orecchie che sporgevano come le ali di un brutto uccello. «Un uomo molto turbato,» cominciò. «Un uomo che potrebbe arrivare a compiere qualcosa di irrimediabile se non verrà aiutato. Forse un uomo che ha
già
fatto qualcosa di irrimediabile.»

«Ha detto che non è capace di accettare la morte, e ho avuto l'impressione che ne sia addirittura spaventato.»

«Già, è questo il punto. Questa incapacità di accettare la morte sembra il nodo centrale della sua perdita della fede... un evento di grande, di enorme importanza per lui. E a volte, quando ci troviamo di fronte a una cosa che ci spaventa profondamente, il nostro inconscio ci costringe a 'tuffarci' in essa. È per questo che molti uomini compiono in guerra atti di straordinario eroismo, e perché alcune donne terrorizzate dal sesso finiscono con il condurre la più sregolata delle esistenze.»

«Quindi lei pensa che la paura della morte avrebbe potuto spingerlo a...»

«Non ho detto questo,» lo interruppe Greenspan. «Ma è una possibilità. Eppure, se così fosse, nel suo passato avrebbe dovuto esserci qualcos'altro in grado di scatenare una simile reazione, qualcosa che ha colpito la sua psiche tanto profondamente da rendergli intollerabile questo nuovo fallimento.»

«E Grace Mallory?»

Lo psichiatra scosse la testa. «Una donna dura. Ma ascoltandola, anche se solo per pochi minuti, ho avuto la netta sensazione che abbia appena fatto un grosso passo avanti nel doloroso processo dell'accettazione di sé e forse perfino di quello che certamente lei definirebbe il suo problema. No, non credo che Grace Mallory sia il nostro assassino. A meno che gli omicidi non si fermino improvvisamente. Perché in questo caso dovrei inserirla di nuovo nella lista delle persone sospette.»

Con un sospiro di esasperazione, Rolk passò a chiedere di Sousi.

«Ecco un'altra personalità gravemente disturbata,» sentenziò Greenspan. «Mania di grandezza, la convinzione di essere circondato da inferiori. E qualcosa di più interiore, io credo, un autentico, persistente odio per se stesso.»

«E per ultima, ma non ultima...» cominciò Rolk.

«La dottoressa Silverman.» Il medico scosse la testa. «Proprio non saprei. C'è qualcosa in lei, qualcosa di cui non vuole parlare. Qualcosa che ha il potere di sconvolgerla. Ma che io sia dannato se riesco a immaginare di che cosa si tratta. Potrebbe anche essere qualcosa che non ha nulla a che vedere con questo caso. Un problema personale che la turba, o semplicemente il risultato dell'atmosfera di paura in cui sta vivendo.»

Rolk annuì. Sapeva a che cosa era dovuta la riluttanza di Kate, ma non ne avrebbe parlato con Greenspan. Era un problema suo, e di Kate. Qualcosa che bisognava affrontare al più presto.

«Così, siamo tornati alla questione centrale, cioè a come ottenere ulteriori informazioni sui nostri indiziati,» osservò.

«Temo di sì. Ma siamo vicini, mi creda, siamo vicini. Da qualche parte, nel passato di uno di questi individui c'è qualcosa che prima o poi ci dirà quello che abbiamo bisogno di sapere.» Sporse in fuori le labbra, raddrizzando le spalle. «Affidi questo incarico a uno dei suoi. A qualcuno che scavi nel loro passato senza doversi occupare di nient'altro. E gli dica di scavare in profondità. Quello che ci serve è lì, non può essere diversamente. E se è un evento traumatico, come io credo che sia, lo scoprirà. Prima o poi lo scoprirà.»

 

Charlie Moriarty era ancora teso e agitato quando entrò nell'ufficio di Rolk, ma il rimorso che lo aveva schiacciato fino ad allora sembrava avere lasciato il posto a una collera silenziosa che solo i suoi occhi rivelavano.

«Ho un lavoro per te,» lo informò Rolk. «Da cominciare subito.»

«Ha a che fare con questo caso, vero?» volle sapere Moriarty.

Rolk annuì. Era chiaro, l'agente aveva paura di esserne lasciato fuori, paura di non avere la possibilità di vendicare la morte di Waters, che evidentemente considerava un fallimento personale. Rolk prese i fascicoli dei sospettati e glieli pose davanti.

«Li abbiamo già controllati tutti, lo so,» esordì. «Ma in qualche modo, in qualche momento, ci siamo lasciati sfuggire qualcosa. Forse il legame con i due maya, o forse qualcos'altro. Per questo voglio ricominciare daccapo. E voglio che il lavoro venga svolto da una persona sola. Da te.»

«È una specie di diversivo, tenente?» saltò su Moriarty. «Qualcosa che mi impedisca di pensare continuamente a come mi sono fatto fregare?»

Rolk fissò il suo viso irato, gli occhi pieni di un dolore che era soltanto suo. «No, Charlie, niente del genere. Personalmente non credo che tu ti sia fatto fregare. È stato Ezra Waters a farsi fregare, entrando in quella stanza senza aspettarti e agendo in modo avventato.» Scosse la testa vedendo che l'altro si preparava a parlare in difesa del morto; non se la sentiva di ascoltare arringhe di difesa.

«Qualunque buon poliziotto avrebbe tentato quello che lui ha tentato, considerate le circostanze. Ma un buon poliziotto... un poliziotto capace di dare il meglio di sé, non avrebbe abbassato la guardia come invece ha fatto Ezra.» Si strinse nelle spalle. «Forse erano troppi anni che quel poveretto non era più nella polizia. Non so. Ma so che quello che è successo non ha niente a che fare con te.» Puntò un dito sui fascicoli. «E quello che ti ho affidato non è un diversivo. Può darsi perfino che sia il passo più importante intrapreso per la soluzione di questo caso. Voglio che tu scopra tutto quello che c'è da scoprire, e questo significa che non devi limitarti a usare il telefono. Se credi di aver trovato una buona pista seguila, in aereo, o in qualunque altro modo. Senza neppure aspettare la mia autorizzazione. Fallo e basta. Sono stato chiaro, Charlie?»

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