Gai-Jin (84 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Che bello parlare gai-jin, piacerebbe anche a me, Otami-san, esclamò lo shoya pieno d'ammirazione.

“Lasciate che vi ripeta che appoggio sonno-joi, e anche che ho affidato il mio figlio più intelligente a un bonzo gai-jin con l'ordine di fingere di convertirsi al loro ridicolo credo per imparare la loro lingua e i loro costumi.”

“I servi saranno fidati? Dovete garantirmelo.”

“Sarete al sicuro come uno della mia famiglia. Per maggiore sicurezza vi consiglierei di affittare tutto il ristorante e di ordinare a questo Taira di parlare solo in giapponese nel padiglione del bagno. Dite che impara in fretta?”

“Si, molto in fretta.”

“I vostri segreti con me sono al sicuro. Sonno-joi!” Hiraga sorrise tra sé al ricordo del fervore dimostrato dallo shoya nel fargli eco: non credeva a una sola delle sue parole. Chissà cosa farebbe se sapesse del nostro progetto di bruciare Yokohama. Se la farebbe addosso. Ma prima ancora di pulirsi correrebbe dalla Bakufu e sbatterebbe la testa per terra dalla fretta di servirli e di tradirmi. Baka!

Tyrer continuava a mangiare con voracità. Hiraga invece, sebbene avesse ancora fame, giocherellava con il suo cibo, perchè quello era il costume giapponese: la loro educazione imponeva di accontentarsi di poco, perchè i tempi della fame sono più numerosi di quelli dell'abbondanza, e di sopportare freddo e dolore fisico con indifferenza, perchè i giorni cattivi sono più numerosi di quelli buoni e fa più spesso freddo che caldo ed è meglio essere preparati. La mancanza è da preferire all'eccesso.

Tranne che per il sakè. E per la fornicazione. Sorrise.

“Sakè, Tairasan, kampai!”

La fiaschetta fu presto vuota. Per convincere Tyrer a bere gli disse, mentendo, che i brindisi erano un costume molto importante in Giappone.

Presto Tyrer si mise a raccontare a ruota libera delle guerre gai-jin, della vastità dell'Impero britannico, di quello che vi si produceva e della ricchezza che ne derivava. Dato che Tyrer era sincero, almeno così gli sembrava, con quel suo “giuro che è la verità di Dio”, decise di accettare per buone quelle informazioni terrificanti e assurde, almeno fino a prova contraria. L'ora di studio dell'atlante scolastico e delle mappe di Tyrer lo aveva quasi sconvolto.

“Ma, per favore, come può un piccolo paese come Inghilterra comandare su tutti?”

“Per molte ragioni” rispose Tyrer calorosamente. Era rilassato e soddisfatto di sé, e dimenticando per un momento di usare parole e concetti semplici, ingenuamente proseguì: “Per molte ragioni.

Grazie alla nostra cultura superiore, educazione superiore, comprendi? A una superiore eredità, a una regina saggia e benevola e alla nostra unica e speciale forma di governo, il Parlamento, che ci ha garantito leggi e libertà superiori.

Ma siamo anche benedetti dal cielo, siamo un'isola fortificata, il mare ci protegge e le nostre flotte controllano le rotte marittime del commercio, così abbiamo potuto sviluppare in tutta tranquillità le nostre capacità, inventare e fare esperimenti, espandere il mercato.

E così, Nakama-san, abbiamo più capitali, più denaro, di chiunque altro... e siamo molto abili nella tecnica del “dividi et impera”, che è una antica legge romana...”

Rise e finì la fiaschetta, “ma soprattutto, come già ti ho detto, possediamo il doppio dei cannoni, delle navi e delle armi dei due paesi più forti dopo di noi: la metà delle navi del mondo batte bandiera britannica, ha un equipaggio britannico e artificieri britannici”.

Quante parole e concetti che non capisco, pensò Hiraga, mi gira la testa. I romani, chi sono?

Se la metà soltanto di quanto dice Tyrer è vero, no, basterebbe la centesima parte, ci vorranno decenni per raggiungerli. Si, pensò, ma col tempo li raggiungeremo. Anche noi siamo un'isola. E a differenza di loro, questa è la Terra degli Dei: nel corpo a corpo siamo i più forti, i combattenti migliori, abbiamo una disciplina più ferrea, maggiore coraggio e, soprattutto, alla fine saremo sempre i vincitori perchè non abbiamo paura di morire!

Eeeh, già oggi vedo modi per manipolarli che qualche giorno fa non avrei nemmeno immaginato. “Honto” mormorò.

“Honto” Nakama-san? La verità? Quale verità?”

“Pensavo a cosa tu dici. Molta verità. Prego, prima dicevi...

Kampai!”

“Kampai! Tempo di andare allo Yoshiwara, vero?” Tyrer, stanco di rispondere alle domande ma molto felice, trattenne uno sbadiglio.

“Io non dimentico, Taira-san.”

Hiraga celò un sorriso.

Aveva già disposto che Fujiko quella sera non fosse disponibile. “Finisci il sakè, un'ultima domanda, poi andiamo. Prego, prima dicevi di macchine che fanno macchine? Come possibile?” Tyrer si lanciò in una nuova risposta entusiasta spiegandogli che i britannici erano a capo di quella che veniva chiamata Rivoluzione Industriale: “I motori a vapore, le ferrovie, le navi di ferro e acciaio, i filatoi, le seminatrici, le catene di montaggio, le mietitrici, i cannoni che sparano proiettili da sessanta libbre, i sottomarini, gli anestetici, le nuove medicine, la navigazione, sono tutte invenzioni nostre.

Quattro anni fa abbiamo impiantato la prima linea telegrafica atlantica, mille leghe, forse di più” disse con fierezza, omettendo di precisare che il cavo si era bruciato dopo un mese e avrebbe dovuto essere sostituito.

“Abbiamo inventato i generatori elettrici, l'illuminazione a gas...”

Lo sforzo di concentrazione e il desiderio disperato di capire tutto mentre non capiva praticamente niente, mandarono presto Hiraga in confusione.

Ma ciò che soprattutto non riusciva a spiegarsi era perchè un ufficiale importante come Taira rispondesse a ogni domanda che il nemico gli faceva. Perché era ovvio che erano nemici.

Devo imparare l'inglese più in fretta. E lo farò.

Udirono un leggero colpo sulla porta, lo shoji si scostò.

“Chiedo scusa, Otami-san” disse la cameriera, “ma lo shoya vi prega di concedergli un attimo del vostro tempo.”

Hiraga annuì, spiegò a Tyrer che si sarebbe assentato per qualche minuto e seguì la cameriera nel vicolo deserto fino alla strada affollata. I pochi pedoni che diedero segno di notarlo si inchinavano educatamente come dinanzi a un mercante e non a un samurai, secondo le istruzioni ricevute dallo shoya. Bene.

Lo shoya lo aspettava in una stanza interna, inginocchiato davanti a un tavolino, con il braccio posato comodamente su un bracciolo e una gatta che riposava al suo fianco. Si inchinò.

“Spiacente di disturbarvi Otami-san, ma nel caso che il gai-jin capisca la nostra lingua meglio di quanto non dimostri, ho pensato che fosse preferibile parlarvi in privato.” Hiraga, accigliato, si sedette sui talloni e rispose all'inchino. “Sì, Ryoshi-san?” chiese inquieto.

“Ci sono diverse cose che dovete sapere, Otami-sama.”

L'uomo dal volto massiccio versò del tè verde nelle piccole tazze da una minuscola teiera di ferro. Il tè era ottimo, profumato, delicato e prezioso quanto le tazze, leggere come gusci di uova.

Il presentimento di Hiraga si fece più forte. Lo shoya sorseggiò, poi estrasse dalla manica del kimono un rotolo di carta e lo dispiegò. Era una copia del manifesto xilografato: La Bakulù offre due koku di ricompensa per la cattura di questo rivoluzionario assassino dai molti nomi, uno dei quali è Hiraga...

Hiraga lo raccolse fingendo di vederlo per la prima volta. Borbottò qualcosa e glielo restituì con indifferenza.

L'anziano avvicinò un'estremità del foglio alla fiamma della candela.

Entrambi osservarono la carta incurvarsi e bruciare, ed entrambi pensarono che con quei capelli a spazzola e la barba ogni giorno più fitta il travestimento di Hiraga era perfetto. “Quelli della Bakufu si sono scatenati alla ricerca dei nostri bravi shishi.” Hiraga annuì senza dire niente e attese.

Lo shoya accarezzò distrattamente la gatta, che si mise a fare le fusa.

“Si dice che il principe Yoshi stia per mandare un suo emissario a trattare con i gai-jin l'acquisto di cannoni.

Sicuramente un principe del suo rango offrirà un prezzo più alto degli... emissari di Choshu.” E con discrezione aggiunse: “I gai-jin venderanno al migliore offerente”.

Hiraga aveva saputo da Raiko, quasi tutti allo Yoshiwara erano al corrente di quelle trattative, che i samurai di Choshu si erano recati in visita alla Nobil Casa, ed era certo di conoscere personalmente loro e le loro famiglie, se ne avesse identificato i veri nomi.

Il fratellastro di Hiraga, che aveva studiato nega sua stessa scuola di inglese a Shimonoseki, circa un anno prima aveva fatto parte della squadra incaricata di comprare i primi cento fucili. Strano, pensò Hiraga, che a venderglieli sia stata proprio la casa di questo tai-pan che presto sarà morto, con la sua donna e con tutta questa voragine di male. “I gai-jin non hanno nessun onore.”

“Disgustoso.” Lo shoya bevve un altro sorso di tè. “Il castello di Edo ferve di attività. Si dice che lo shògun e la principessa imperiale abbiano in progetto di partire per Kyòto tra una settimana o due.”

“Perché mai vogliono partire?” chiese Hiraga fingendo un disinteresse poco convincente.

L'anziano rise tra sé. “Non lo so, Otami-san, ma è davvero curioso che lo shògun lasci la sua tana e affronti un pericoloso viaggio di molte miglia per recarsi in una tana dove lo attendono molti nemici, quando prima si è sempre limitato a inviarvi un lacchè.”

La gatta si stirò, lui le stuzzicò la pancia e aggiunse pensieroso: “I roju stanno aumentando le tasse in tutte le terre dei Toranaga per poter pagare quante più armi e cannoni possibili, di nascosto dai satsuma, dai tosa e dai choshu”.

Hiraga percepì la sotterranea rabbia dello shoya e si astenne dal mostrare il proprio pensiero divertito: a che servono mercanti e contadini se non a pagare le tasse? “Se il Figlio del Cielo non darà dimostrazione del potere conferitogli dal Cielo, la Bakufu precipiterà il paese in una nuova guerra civile che non avrà mai fine.”

“Sono d'accordo con voi.” Mi chiedo fino a che punto, vecchio, pensò Hiraga, ma allontanò il pensiero per meditare su come far desistere la Bakufu e Toranaga Yoshi dal loro proposito. Akimoto dovrebbe andare subito a Edo alla Casa del Glicine, sono giorni che non riceviamo notizie da Koiko e dalla sua mama-san, forse dovremmo andarci insieme...

“Inoltre sembra che Ori-san, il vostro amico shishi, non sia partito per Kyòto come previsto” disse lo shoya con aria distratta.

Gli occhi di Hiraga si fecero opachi come quelli di un rettile. Lo shoya represse un fremito. La gatta, subito all'erta, si alzò sulle zampe con un movimento sinuoso e li guardò, pronta a fuggire. Hiraga ruppe il silenzio.

“Dov'è?”

“In quel settore dell'Insediamento dove vivono, bevono e fornicano i gai-jin di basso rango.”

Intorno a mezzanotte André Poncin bussò alla porta della Casa delle Tre Carpe. Il portiere lo fece subito entrare. Raiko gli diede il benvenuto e poco dopo bevendo sakè chiacchieravano nel loro solito misto di giapponese e inglese delle ultime notizie sullo Yoshiwara e sull'Insediamento.

Rappresentavano l'uno per l'altra un'inesauribile fonte di informazioni.

“... e la milizia armata si è messa a cercare in ogni casa, Furansu-san!

Come se noi nascondessimo dei criminali! E' contro le regole dello Yoshiwara.

Noi sappiamo bene come garantirci la nostra ciotola di riso quotidiana: caldeggiando la pace ed evitando i guai. La ronda armata presidia ancora i cancelli e scruta tutti quelli che passano.”

Raiko si fece aria con il ventaglio come a scacciare il ricordo di averla scampata per un soffio, rimpiangendo di aver invitato gli shishi a onorare la sua casa.

E' tempo che se ne vadano, pensò, soldati e shishi, per quanto Hiraga mi piaccia molto. “Spero che se ne vadano.”

“Chi stanno cercando?” chiese André.

“Traditori, ronin di solito. Ma chiunque si oppone a loro è un traditore.

I ronin, però, sono la loro preda preferita.”

“La Bakufu? Come si può scacciare la Bakufu? Con una rivoluzione?” Lei sorrise, svuotò la fiaschetta e ne cominciò un'altra. “Quelli della Bakufu sono come le pulci in prigione: ne uccidi mille solo per far posto a centomila. No, Bakufu e shògunato sono il Giappone, e ce li terremo per sempre.”

“Questa notte Taira-san è qui?” Lei scosse la testa. “La ragazza che voleva non è disponibile. Gliene ho offerta un'altra ma non l'ha voluta e se ne è andato. Curioso, neh? E' un uomo curioso sotto molti aspetti, anche se un buon cliente potenziale.

Grazie per averlo introdotto nella mia povera casa.”

“Questo sensei, questo maestro giapponese, il samurai che Taira ha trovato... chi è, Raiko?”

“Non lo so, spiacente, ma ho sentito che viene da Edo e che vive nell'Insediamento, nel villaggio.”

“Taira-san ha parlato di lui a Fujiko?”

“Lei non me lo ha mai detto, ma neppure gliel'ho chiesto. La prossima volta, forse la prossima volta lo saprò, Furansu-san.” André non le credette; ma non importa, pensò, quando sarà pronta me lo dirà. “E per la medicina, è tutto combinato?“

“Certo, accontentare un cliente speciale è un dovere per me.”

Lui prese dalla tasca gli orecchini di perle e li posò sul tavolo.

Sebbene Raiko non avesse accennato a toccarli, era sicuro che li avesse già valutati mentalmente giudicandone la fattura, il costo e quanto avrebbe ricavato dalla vendita. “Ho scelto questi come dono” disse lui affabile.

Lei rispose con un largo sorriso e finse meraviglia pur sapendo di essere pagata con gioielli che non potevano essere venduti a Yokohama. Le sue dita, quando si allungò per prenderli, tremavano. Lui l'anticipò e finse di esaminarli da vicino.

Il suo piano per Angélique aveva funzionato perfettamente. I domestici della Nobil Casa avevano setacciato le strade senza successo cercando gli orecchini, e le lacrime e la disperazione di Angélique erano sembrate genuine: infatti in privato gli aveva sussurrato: “Oh, André, ho fatto la cosa giusta? Malcolm si è molto irritato, non avevo idea che avessero tanto valore”.

“Ma è stato lui a dirvi di firmare per qualsiasi cosa voi voleste, non è così? Non pensavate di dover chiedere il prezzo. E i gemelli, gli sono piaciuti?”

“ Sì, ma, André...”

“Ne avanzerà quanto basta a coprire qualsiasi evenienza, Angélique.” André sorrise dentro di sé e volse tutta la sua attenzione a Raiko.

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