Gai-Jin (186 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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Dopo sei mesi di apprendistato con Culum Struan, a Hong Kong, il giovane era stato mandato a Shanghai dove in breve era stato nominato vicedirettore.

“Benvenuto a Yokohama” lo aveva accolto Jamie con sincerità.

Quell'uomo dalla carnagione scura gli piaceva anche se di lui sapeva soltanto che era abile nel lavoro e che il suo ramo del clan Struan era originario dell'altipiano scozzese ma discendeva da uno dei tanti soldati dell'Armada spagnola che, naufragati davanti alle coste della Scozia e dell'Irlanda, erano sopravvissuti senza però poter rimpatriare.

Nella colonia Albert MacStruan veniva facilmente scambiato per un euroasiatico, ma nessuno lo aveva mai insolentito. Secondo una leggenda si trattava di uno dei misteriosi figli illegittimi di Dirk Struan e questi, poco prima di morire, lo aveva mandato di nascosto in Scozia con un fratellastro, Frederick MacStruan, concedendo a entrambi una cospicua dote.

“Mi dispiace rivedervi in una circostanza così sgradevole, vecchio mio.” MacStruan parlava con l'accento aristocratico di Eton e di Oxford colorato da una sfumatura di scozzese.

Aveva ventisei anni e un fisico robusto, capelli scuri, neri occhi a mandorla e zigomi alti.

Jamie non gli aveva mai accennato a quella leggenda né lui gliene aveva mai parlato. Al suo arrivo a Hong Kong, quasi vent'anni prima, Culum Struan, il tai-pan di allora, lo aveva invitato a non fare domande, soprattutto sulla famiglia: “Abbiamo troppi segreti, troppi loschi affari da dimenticare, forse”.

“E tutto in ordine, signor MacStruan, e non preoccupatevi per me” aveva detto Jamie. “Sono pronto per un cambiamento.” Sebbene ufficialmente non lavorasse più per la Nobil Casa, Jamie continuò ad aiutare il nuovo direttore, lo aggiornò sui progetti e sugli affari in corso e insieme a Vargas lo presentò ai fornitori giapponesi.

I libri contabili erano in ordine, la spedizione mineraria con Johnny Cornishman era ben avviata e prometteva grandi profitti: il carbone era di ottima qualità e avevano stipulato l'accordo per un carico alla settimana per un periodo di prova di tre mesi.

MacStruan gli aveva generosamente offerto il venti per cento del profitto del primo anno e il permesso di commerciare con Cornishman quando si fosse messo in proprio.

“Se quella canaglia sarà ancora viva” aveva detto ridendo.

Grazie a Hiraga i rapporti segreti di Jamie con lo shoya avevano dato dei frutti ed era nata la prima compagnia: si chiamava I.S.K., Ichi Stoku Kompani, poiché la moglie dello shoya non aveva ritenuto prudente usare il loro nome. Ryoshi e McFay possedevano il quaranta per cento delle azioni ciascuno, la moglie di Ryoshi il quindici e Nakama Hiraga, il cinque.

La settimana prima McFay aveva registrato la sua ditta e aveva aperto l'ufficio che provvisoriamente aveva sede nello stesso edificio che ospitava il “Guardian” di Nettlesmith.

Da una settimana ormai il figlio maggiore di Ryoshi, un ragazzo timido e nervoso di diciannove anni, era al lavoro tutti i giorni dalle sette del mattino alle nove di sera per imparare ogni cosa. Soprattutto l'inglese. E con l'ultimo postale era inaspettatamente arrivata la sua liquidazione accompagnata da un biglietto in cui Tess Struan lo ringraziava per i servizi prestati. L'equivalente di tre mesi di stipendio come riconoscimento di diciannove anni di lavoro, pensò Jamie con amaro divertimento.

Era ancora troppo presto per ricevere notizie da Hong Kong anche se la Prancing Cloud doveva essere arrivata ormai da dieci giorni e Hoag da circa una settimana.

Per sapere qualcosa bisognava aspettare ancora quattro o cinque giorni almeno, perchè dicevano che il mar Cinese Meridionale era stato investito da una forte tempesta. Inutile fare previsioni sui tempi e sul clima.

Per comunicare con Hong Kong avremo presto il telegrafo e forse un giorno i fili arriveranno fino a Londra.

Mio Dio, che vantaggio sarà per tutti poter inviare un messaggio a Hong Kong e ottenere la risposta in pochi giorni, e in due settimane da Londra anziché dopo quattro mesi! Io non farò in tempo a vederlo, ma scommetto che tra dieci o quindici anni ci sarà il telegrafo tra qui e Hong Kong. Evviva Nakama e il mio socio Ryoshi, evviva la mia nuova compagnia, la McFay Trading.

Ed evviva Angélique.

Il giorno di Natale, nonostante il lutto, Angélique aveva accettato di partecipare alla cena organizzata da Jamie in onore di Albert MacStruan.

Presenti anche sir William, Seratard, André e la maggior parte dei ministri, la serata aveva avuto un certo successo.

Molto meno allegra di un tempo, tanto da non sembrare più la stessa, Angélique si era tuttavia dimostrata così dolce e gentile che tutti avevano deciso che con quel piglio da donna matura era ancora più affascinante. Quella sera erano tutti invitati a una festa alla Legazione francese dov'era in programma un concerto di André.

Si scommetteva dieci a uno che lei non avrebbe ballato. Sulla sua gravidanza invece nessuno ancora si sbilanciava, né si facevano anticipazioni sul verdetto di Hong Kong. Dopo la loro avventura in mare e la straordinaria abilità con cui lei aveva aggirato sir William, McFay le era diventato amico e cenavano quasi sempre insieme.

Evviva l'anno nuovo, sarà magnifico!

Nonostante il buon umore Jamie fu percorso da un brivido. Commerciare stava diventando sempre più rischioso, per Shanghai si prospettava una nuova guerra civile, a Macao infieriva la peste, la guerra civile in America era tremenda, in Irlanda c'era la carestia e si mormorava di carestia anche in Giappone, mentre le isole britanniche erano turbate da rivolte per l'occupazione e gli aumenti salariali nelle fabbriche. E poi c'è Tess Struan.

Dannazione, mi ero ripromesso di non pensare a lei dal 1° gennaio 1863 in poi! Né a Maureen...

Per sfuggire all'ansia spronò il cavallo. Subito Hiraga lo imitò.

Erano entrambi buoni cavallerizzi. Hiraga non cavalcava da molto tempo ed era la prima volta che usciva liberamente dall'Insediamento. Si portò accanto a Jamie e lo superò.

Spinsero i cavalli al galoppo e dopo che gli altri ebbero svoltato verso l'ippodromo restarono soli. Rallentarono e si godettero la bella giornata.

La Tokaidò serpeggiava davanti a loro interrotta qui e là dal fiume in piena dove portatori e barcaioli attendevano di trasbordare merci e viaggiatori. A meridione si intravedevano Hodogaya e le barriere aperte. Un tempo, prima degli assassinii, in primavera e in estate i mercanti andavano con cestini di provviste al villaggio a bere birra e sakè e a ridere e amoreggiare con frotte di cameriere che tentavano di trascinarli nei bar e nei ristoranti poiché i molti postriboli si rifiutavano di accoglierle.

“Ehi, Nakama, dove hai appuntamento con tuo cugino?” chiese Jamie frenando il cavallo ai confini del villaggio, non lontano dalla barriera. Era consapevole dell'ostilità dei viaggiatori ma non se ne preoccupava perchè il revolver custodito nel fodero legato alle spalle era ben visibile. Era sicuro che Hiraga non fosse armato.

“Vado a vedere. Meglio io solo dall'altra parte della barriera, Jamie-sama” disse Hiraga. Aveva accolto con gioia il messaggio di Katsumata.

Uscire dalla protezione di sir William e di Tyrer era pericoloso, ma voleva avere notizie di Sumomo e degli altri, scoprire cosa fosse veramente successo a Kyòto ed essere informato sul nuovo piano degli shishi. Lo shoya non faceva che scuotere la testa e dire: “Spiacente, Otami-sama, non ho ancora notizie di Katsumata e di Takeda e nemmeno della giovane Sumomo e di Koiko. Il signore Yoshi è ancora nel castello di Edo.

Non appena saprò qualcosa...”.

Senza scoprire il volto Hiraga fece cenno a Jamie di fargli strada.

“Per favore, poi trovo un posto buono dove voi aspettare.” Le guardie della barriera li scrutarono con sospetto e accennarono un inchino in risposta al loro saluto. Sul muro del casotto era appeso il manifesto con il ritratto di Hiraga. Jamie non lo notò. Hiraga si chiese con terrore se gli altri lo avrebbero riconosciuto nonostante i capelli tagliati all'europea e i baffi.

Volle fermarsi alla prima locanda. In un giapponese stentato e imitando la rudezza degli altri mercanti si fece assegnare un tavolo nel giardino e ordinò sakè, birra e tè e qualche piatto locale. Infine chiese alla cameriera di assicurarsi che nessuno li disturbasse e le promise una buona mancia. Nonostante la ragazza tenesse lo sguardo basso Hiraga era certo che l'avesse identificato come giapponese.

“Jamie-sama, torno tra pochi minuti” disse.

“Non metterci molto, amico.”

“Sì, Jamie-sama.” Hiraga si incamminò lungo la strada e verso l'altra barriera in fondo al villaggio. I modi ostili e rudi con cui veniva accolto lo mandavano su tutte le furie ma non reagì alle provocazioni dei samurai e dei viaggiatori che lo spingevano da parte e anzi cedette sempre il passo.

Dopotutto era un bene che tutti lo credessero un gai-jin e scambiassero la sua ricerca meticolosa in ogni ristorante e in ogni bar per insolente curiosità. E messaggio cifrato di Katsumata diceva: “Vieni a Hodogaya in una qualsiasi mattina dei tre prossimi giorni. Ti troverò”.

Consapevole di dare molto nell'occhio passò tra quella gente che bighellonava, si accalcava sulle panche e intorno ai tavoli o si riscaldava vicino ai bracieri lanciandogli sguardi di sfida.

Quando finalmente sentì il fischio sommesso del segnale non si scompose né si voltò: sembrava provenire dalla sua sinistra. Fingendosi stanco scelse una panca lontana dalla strada nella prima osteria che incontrò e ordinò una birra. La cameriera gliela portò subito. Senza alzare il capo dalle zuppe di riso e dalle tazze di sakè caldo i contadini intorno a lui si ritrassero come se fosse un appestato.

“Non voltarti” sentì Katsumata dire sottovoce. “Non ti riconoscevo, il tuo travestimento è perfetto.”

“Dev'esserlo anche il vostro, sensei”, rispose sottovoce, quasi senza muovere le labbra. “Vi ho cercato con attenzione due volte in questo locale.” Katsumata rispose con la sua risata sommessa e piacevole. “Lascia cadere qualcosa e nel raccoglierla guardati velocemente in giro.” Hiraga ubbidì, lanciò un'occhiata alla persona più vicina, un ronin barbuto e spettinato dall'aspetto selvaggio che lo fissava cattivo e si voltò di nuovo. “Eeeh, sensei!”

“Non chiamarmi sensei. Abbiamo poco tempo e Hodogaya pullula di uomini della Bakufu e di spie. Dove possiamo parlare al sicuro.”

“Nel nostro Yoshiwara, alla casa delle Tre Carpe.”

“Sarò lì tra due o tre giorni. Bisogna provocare un incidente con i gai-jin in fretta. Pensaci.”

“Che tipo di incidente?”

“Un incidente grave.”

“D'accordo” disse Hiraga. “Sono stato contento di ricevere vostre notizie, non sapevamo che foste diretto qui. Ci sono arrivate voci tremende sullo scontro di Kyòto. Akimoto è con me ma siamo rimasti soli e nell'attacco di Edo abbiamo perso molti shishi. Ho molte cose da dirvi su Edo e sui gai-jin. Raccontatemi brevemente, che cosa è successo a Kyòto? E Sumomo come sta?”

“A Kyòto è andata male. Prima di partire ho affidato Sumomo a Koiko, che tornava qui con Yoshi, per spiare il principe e scoprire chi ci tradisce, dev'essere uno dei nostri. Era un'occasione da non perdere che le avrebbe consentito di uscire da Kyòto senza pericolo.” Katsumata parlava senza smettere di controllare gli altri avventori che, seppur lontani, evitavano di guardarlo direttamente.

“Abbiamo teso due imboscate a Yoshi e sono fallite entrambe, qualcuno ha rivelato il nostro nascondiglio e Ogama e Yoshi si sono uniti per attaccarci. Noi...”

“Eeeh” sussurrò Hiraga profondamente colpito. “Si sono alleati?”

“Per il momento sì.

Abbiamo perso molti capi e molti uomini, te ne parlerò più tardi, ma io, Sumomo, Takeda e qualcun altro siamo riusciti a fuggire. Sono contento di vederti, Hiraga. Adesso va'.”

“Un attimo ancora. Sumomo? Le avevo ordinato di tornare a Choshu.”

“Mi ha portato informazioni preziose sulla situazione qui e su Shorin e Ori. Le ho suggerito di proseguire per Choshu ma ha preferito fermarsi sperando di poterti essere d'aiuto.

Ori come sta?”

“E' morto.” Hiraga lo sentì imprecare, Ori era stato il suo allievo favorito. “I gai-jin gli hanno sparato mentre tentava di penetrare in una delle loro case” proseguì sempre più nervoso, “dicono che a Hamamatsu c'è stato un attentato contro Yoshi e che nella mischia sono morti Koiko e uno shishi. Chi era?”

“Non era un uomo. Spiacente, era Sumomo.” Hiraga impallidì.

“Koiko l'ha tradita, quella puttana l'ha denunciata a Yoshi, ha tradito sonno-joi e noi. Ma è morta con lo shuriken di Sumomo nel petto.”

“Com'è morta Sumomo?”

“Da shishi, e verrà ricordata in eterno. Ha affrontato Yoshi con lo shuriken e la spada e lo ha quasi ucciso. Faceva parte della sua missione, se fosse stata tradita.” Così Sumomo aveva una missione, pensò subito Hiraga, ti aspettavi che venisse tradita eppure non hai esitato a mandarla allo sbaraglio. Era in preda all'ira ma si sforzò di chiedere: “L'hanno seppellita con onore?”.

Se Toranaga Yoshi non l'avesse onorata dopo un combattimento e una morte tanto coraggiosi lui gli avrebbe dato la caccia fino alla morte, escludendo ogni altro obiettivo. Hiraga era il capo degli shishi di Choshu, i più numerosi. E Sumomo, sebbene originaria di Satsuma, aveva giurato fedeltà a lui e a Choshu. “Per favore, lo devo sapere, l'hanno seppellita con onore?”

Neppure questa volta sentì la risposta.

Si girò: Katsumata era sparito.

Il suo turbamento era evidente. Gli altri avventori lo guardavano in silenzio.

Alcuni samurai in piedi lo fissavano. Lasciò cadere con rabbia qualche moneta sul tavolo e tornò sulla strada impugnando il Derringer nascosto sotto la giacca.

 

Quel pomeriggio nel castello di Edo l'atmosfera era densa di attesa e paura. Accompagnato da Abeh e da quattro guardie samurai, Yoshi seguiva il dottore cinese lungo un corridoio. Il medico, un uomo alto ed esile con i capelli grigi legati in un codino, indossava una lunga tunica.

Salirono alcuni gradini e percorsero un altro corridoio poi il dottore si fermò. Il passo era sbarrato da un gruppo di guardie ostili con le mani sulle spade e gli occhi fissi su Yoshi e i suoi.

“Spiacente, principe Yoshi” disse l'ufficiale, “gli ordini del taira sono di non far passare nessuno.”

“I miei ordini invece” ribatté il dottore a cui la paura dava un falso coraggio, “erano di portare qui il principe Yoshi.”

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