Equinox (32 page)

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Authors: Michael White

Tags: #Fiction, #Thrillers, #Suspense

BOOK: Equinox
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Laura spalancò la portiera ancora prima che l'auto si fermasse.

Monroe le afferrò il braccio. «Non faccia la stupida. I miei uomini stanno entrando. Non riusciranno a...» Laura liberò il braccio con uno strattone. «Se lei pensa...»

«Se entra, potrebbe farsi uccidere», urlò Monroe. «Potrebbe essere responsabile dell'omicidio di sua figlia. Rifletta, donna. È questo che vuole?» Laura si afflosciò all'improvviso. Alzò le mani al volto. «Mio dio», sussurrò. Philip la circondò con un braccio, per calmarla.

Monroe corse all'auto di pattuglia più vicina. L'agente Smith stava parlando alla radio. Monroe stava per ordinargli di fare il giro dell'altro lato della casa quando un forte crash spinse tutti ad alzare gli occhi sulla finestra della camera da letto. Ci fu un urlo penetrante. Monroe strillò nella radio: «Jenkins, rapporto!» Nessuna risposta.

«Smith, seguimi. Giriamo da questa parte.» Monroe estrasse la pistola e corse verso il retro della casa.

Quando entrarono tra le ombre sul fianco dell'edificio, una finestra al primo piano si spalancò. Fu spinta all'infuori con tanta forza da tremare sui cardini. Laura la vide dall'automobile di Monroe. Scattò verso il giardino sul davanti prima che Philip potesse fermarla. Guardò su, al volto pietrificato di Jo. Sua figlia si stava issando sul davanzale della finestra quando esplosero tre colpi di arma da fuoco. Venivano dall'interno della casa. Seguì un altro colpo, poi un quinto. Laura sussultò, chiuse gli occhi per una frazione di secondo. Quando li riaprì, Jo era scomparsa.

Il corpo dell'Accolito era riverso a faccia in giù in camera da letto.

Sembrava un manichino rosso e bianco. Il retro del cappuccio era stracciato e chiazzato di rosso scarlatto. Due fori tra le scapole indicavano i punti d'ingresso di un paio di pallottole. Tutt'intorno, schegge di legno frantumato. Tom e Jo stavano parlando con Monroe quando Laura e Philip si precipitarono nella stanza. Laura prese la figlia tra le braccia.

Philip mise una mano sulla spalla di Tom. «Ben fatto», disse.

«Non c'è niente di meglio di un bel pezzo di salice per tirarti fuori dai guai», ribatté il ragazzo, con la voce ancora un po' tremula.

Philip lo guardò perplesso.

«Ho tenuto una mazza da cricket sulle ginocchia per tutta la sera. Dopo che qualcuno si è introdotto qui, non volevo correre rischi», spiegò Tom.

«Buon per te.»

Philip raggiunse Laura e Jo, strette l'una all'altra.

Abbracciò la figlia, la baciò sul viso solcato dalle lacrime.

Poi le mise un braccio attorno alle spalle e con l'altro attirò Laura a sé.

«Famiglie felici», disse.

 

46

 

Los Angeles, due giorni più tardi

 

Un uomo alto, snello, che portava short larghi e cappello floscio di feltro, uscì nel sole accecante di una splendida mattina californiana.

Il lungomare era tranquillo.

Era ancora troppo presto perché gli stabilimenti balneari aprissero.

Attraversata la passerella in legno, si avviò a piedi nudi sulla sabbia calda di Venice Beach, fino a giungere in riva all'acqua. Si girò a guardare la spaziosa casa affacciata sul mare, bianco brillante, contornata da balconi in acciaio e vetro, prima di sedersi sulla sabbia a fissare l'oceano.

Il suo cellulare emise un suono.

Lui guardò lo schermo e lesse il testo del messaggio.

Diceva: «Incarico completato. Ultima ragazza salvata. Maestro e servo entrambi morti. Ti auguro eterna felicità. Bradwardine».

Charlie Tucker sorrise, scrutò le onde.

Non era stato facile inscenare la propria morte a Londra, ma come capo dei Guardiani aveva molte risorse a disposizione. Polizia e paramedici sulla scena del suo «omicidio» erano fedeli membri della confraternita.

Avevano recitato alla perfezione.

Mentre lui cominciava ad abituarsi al sole della California, altri avevano allestito il suo funerale a Croydon.

Non gli era affatto piaciuto abbandonare Laura in una situazione di pericolo, però, come le aveva detto nel DVD che le aveva lasciato, lei era già immersa nel mistero.

Aveva molto di cui ringraziare il Bradwardine del ventunesimo secolo.

Bradwardine era il nome in codice usato dal suo compagno più fidato, un altro Guardiano, Malcolm Bridges.

A Malcolm era spettato l'incarico più pericoloso.

Aveva rischiato tutto.

Era stato piazzato all'MI5 e a Oxford per monitorare attività occulte, così come John Wickins era stato messo a Cambridge quasi tre secoli e mezzo prima per controllare Newton.

Bridges avrebbe potuto fare ben poco per allertare le autorità.

Aveva agito seguendo la procedura adottata da tutti i Guardiani nel corso dei secoli: aveva osservato e atteso, stretto amicizie e interferito per quanto poteva, senza attirare l'attenzione sull'antica organizzazione della quale faceva parte.

Charlie lo sapeva bene perché aveva fatto la stessa identica cosa: aveva usato altre persone, spingendole a fare ciò che gli occorreva.

E, dall'altra parte del mondo, Bradwardine-Bridges lo aveva tenuto informato sull'intera sequenza degli eventi.

Gli aveva riferito quando Lightman era entrato in clandestinità, svanendo nel sottosuolo.

Il professore aveva usato tattiche simili alle sue, aveva inscenato la propria scomparsa con tanta meticolosità da avere un testimone che giurava di averlo visto rapire.

Sapeva inoltre che Laura e Philip avevano attraversato il labirinto.

Da diecimila chilometri di distanza non aveva potuto fare molto più che aspettare, sperando di aver dato loro informazioni sufficienti senza svelarsi. Adesso sapeva che Jo era salva e Lightman e Spenser erano morti.

Con un sospiro, mise la mano in tasca e tirò fuori il prezioso oggetto che ormai portava con sé ovunque: una perfetta sfera di rubino.

La alzò alla luce, scrutò le minuscole linee di geroglifici che correvano, in fitta spirale, da polo a polo.

Il sole trafisse di luce quegli abissi insondabili.

Charlie rimise la sfera in tasca.

Guardò la superficie liscia e azzurra dell'oceano.

Si sentiva in pace col mondo.

 

 

 

 

Fine

I fatti dietro la fiction

 

Naturalmente, questo romanzo è un'opera di fantasia, ma alcuni elementi della storia sono basati su fatti reali.

Quella che segue è una scelta di quegli elementi e della verità che vi sta dietro.

 

Alchimia

 

L'alchimia è considerata l'antenata della moderna chimica. È stata praticata per migliaia di anni e ha ancora seguaci al giorno d'oggi.

Qualcuno sostiene che quest'arte abbia radici in tempi antichissimi e che figure come Mosè ne fossero adepti. Ma è quasi certamente un'esagerazione.

Sappiamo però che l'alchimia risale ad almeno duemila anni fa perché esistono documentazioni del lavoro di alchimisti nell'antica Cina e nella città di Alessandria, buona parte delle quali sono state distrutte all'inizio del quinto secolo dopo Cristo dal vescovo Teofilo. Gli antichi cinesi erano alchimisti molto capaci. È stato suggerito che abbiano scoperto la polvere da sparo secoli prima che venisse riscoperta in Europa dal grande filosofo del tredicesimo secolo Ruggero Bacone. Gli antichi cinesi hanno lasciato testimonianze anche di esperimenti alchemici che conducevano su cavie umane, criminali condannati.

Gli alchimisti credevano di poter trovare un materiale magico, la pietra filosofale, una sostanza capace di convertire qualunque metallo in oro. A questo scopo, migliaia di uomini e donne hanno duramente operato per anni in laboratori bui e angusti, all'inseguimento dello sfuggente obiettivo.

Credevano totalmente in ciò che facevano e molti di loro sono caduti in preda all'ossessione di quest'arte. Il grande psicologo Carl Jung era affascinato dall'alchimia e si è reso conto che i processi eseguiti nei laboratori erano in realtà rituali legati a una forma d'ossessione religiosa.

Gli alchimisti tentavano di trasmutare la propria psiche, o «anima», mentre cercavano di mutare metalli vili in oro. Un procedimento simile ai processi religiosi in cui l'adepto tenta di raggiungere la perfezione o di trovare l'«oro» dentro sé. Gli alchimisti erano solo parzialmente consapevoli di questo aspetto della loro opera, però sapevano di dover essere «puri di spirito» per raggiungere l'obiettivo. Molti trascorrevano anni in preparazione mentale al lavoro.

Alcuni occultisti moderni sostengono ancora che l'alchimia è una vera scienza. Cercano di tracciare paralleli fra l'alchimia e la moderna meccanica quantistica, la teoria scientifica che descrive il mondo subatomico. Però non esistono veri legami. La meccanica quantistica è una scienza rigorosa, supportata da quasi un secolo di esperimenti, mentre l'alchimia si basa sulla falsa idea che la trasformazione da metallo vile a prezioso si possa verificare in un crogiolo. Cosa più importante, la meccanica quantistica ci ha dato tecnologie concrete, tangibili, come il laser, la televisione e la microelettronica. L'alchimia è del tutto soggettiva e non possiede fondamenta logiche.

È un soggetto complicatissimo da studiare perché era una pratica enormemente soggetta a idiosincrasie. Ogni alchimista seguiva metodi personali per trovare quella che riteneva fosse la pietra filosofale. I primi documenti noti sull'argomento erano conservati ad Alessandria. Dai manoscritti sopravvissuti alla distruzione della famosa biblioteca i filosofi arabi del settimo e ottavo secolo dopo Cristo hanno sviluppato un sapere alchemico più avanzato. Questo è stato importato in Europa attorno all'undicesimo secolo e l'alchimia è divenuta ben presto popolare nell'intero continente. Entro il sedicesimo secolo esistevano centinaia di maghi peripatetici che venivano assunti da mercanti ricchi e creduloni e da nobili europei.

Centinaia di alchimisti hanno scritto libri sulle tecniche che usavano, però ne hanno deliberatamente oscurato il senso con codici o linguaggi poetici, in modo che altri alchimisti non potessero copiarle. Erano spinti a nascondere ciò che scoprivano anche per occultare il fatto che non ottenevano il minimo successo nel raggiungimento degli obiettivi.

Nel 1404, il re inglese Enrico IV dichiarò l'alchimia un reato passibile di pena capitale perché si riteneva che, se un alchimista avesse avuto successo, avrebbe turbato lo status quo producendo grandi quantità d'oro e destabilizzando il sistema finanziario. Più tardi, invece, la regina Elisabetta si servì di alchimisti nel tentativo di riempire i forzieri reali. Uno dei suoi preferiti era John Dee.

Gli alchimisti non potevano sperare di trasformare in oro un metallo vile poiché tentavano di modificare la struttura della materia utilizzando strumenti di scarsa potenza, una fornace e un misto di semplici sostanze chimiche. La trasmutazione è possibile oggi soltanto nel nucleo dei reattori nucleari, dove grandi atomi vengono suddivisi in particelle più piccole in un processo chiamato «fissione nucleare». Comunque, per quanto in teoria sia oggi possibile produrre oro partendo da altri metalli, le quantità di energia necessarie (e quindi i costi) sono superiori al valore del materiale ottenibile dal processo.

I metodi degli alchimisti erano semplicissimi. Mettevano in un mortaio tre sostanze: un metallo grezzo, generalmente ferro impuro, un altro metallo (spesso piombo o mercurio) e un acido di origine organica, di solito acido citrico estratto da frutta o verdura. Le pestavano e mescolavano per un periodo lungo fino a sei mesi, per assicurarsi una fusione completa, dopo di che il composto veniva riscaldato con cura in un crogiolo. La temperatura veniva lasciata alzare con estrema lentezza fino a raggiungere il livello ottimale, poi mantenuto per dieci giorni. Era un processo pericoloso che produceva fumi tossici. Molti alchimisti che lavoravano in angusti locali, non ventilati, furono vittime di avvelenamenti da vapori di mercurio. Altri impazzirono gradualmente per avvelenamento da piombo o mercurio.

Completato il processo di riscaldamento, il materiale veniva rimosso dal crogiolo e disciolto in un acido. La sperimentazione con diversi tipi di solventi portò alla scoperta dell'acido nitrico, solforico e acetico.

Dopo aver disciolto il materiale nel solvente, il passo successivo consisteva nel far evaporare e modificare il materiale distillandolo. Il processo di distillazione era il più delicato e lungo; spesso l'alchimista impiegava anni per completarlo in maniera soddisfacente. C'era anche un altro stadio pericoloso: il fuoco in laboratorio non doveva mai spegnersi, e gli incidenti erano frequenti.

Se lo sperimentatore non finiva bruciato vivo, e se il materiale non andava perso per l'uso di tecniche insufficienti, si poteva procedere alla fase successiva, molto chiaramente legata al misticismo. Stando alla maggioranza dei testi alchemici, il momento in cui interrompere la distillazione veniva deciso da un «segno». Nemmeno due manuali concordano sul quando e il come. Il povero alchimista doveva semplicemente attendere finché non gli paresse giunto il momento propizio.

A quel punto, il materiale veniva tolto dall'attrezzatura di distillazione e si aggiungeva un agente ossidante. Di solito si trattava di nitrato di potassio, sostanza senza dubbio nota agli antichi cinesi e probabilmente anche agli alessandrini. Dalla combinazione fra il metallo e il carbonio dell'acido organico l'alchimista otteneva, letteralmente, una miscela esplosiva: polvere da sparo.

Molti alchimisti sopravvissuti ad avvelenamenti e incendi hanno concluso i loro giorni esplodendo assieme al laboratorio.

Chi riusciva a passare indenne attraverso tutte queste fasi poteva procedere agli stadi finali. La miscela veniva sigillata in un contenitore speciale e riscaldata con cura meticolosa. Poi, una volta raffreddato il materiale, talora ci si trovava di fronte a un solido di colore bianco noto come pietra bianca, capace, si diceva, di trasmutare metalli vili in argento.

Lo stadio più ambizioso (produrre un solido di colore rosso chiamato rosa rossa, riscaldando, poi raffreddando e purificando il distillato) avrebbe dovuto condurre alla produzione della pietra filosofale.

Tutte queste fasi del processo erano descritte nei testi in maniera allegorica, avvolte in un linguaggio mistico, tra significati segreti, esoterici. Per esempio, l'unione degli ingredienti di base e la loro fusione con l'uso del calore veniva descritta come «mettere i due draghi in guerra l'uno con l'altro». In questo modo, l'elemento maschile e quello femminile della sostanza, simboleggiati da un re e una regina, venivano liberati e poi ricombinati, ovvero «sposati». E questo l'elemento dietro uno dei testi alchemici più famosi, il romanzo allegorico Le nozze alchemiche, che, a un certo livello, è stato interpretato come una descrizione del processo di trasmutazione.

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