«Immagino vi starete chiedendo come mai Monroe non possa indovinare che Jo sarà il mio ultimo obiettivo, vero?» Nessuno rispose. Lightman parve felice di continuare a parlare. «Ecco, per quanto il nostro ispettore capo sia leggermente idiota, in questo caso non è tutta colpa sua. Il fatto è che Jo... posso chiamarla Jo?... Jo ha usato il cognome del patrigno.
Newcombe. Come tu sai bene, Laura, è il cognome che utilizza per tutte le situazioni ufficiali. È quello che compare sui suoi moduli di iscrizione all'università. È il cognome che ha dato per i test psicologici. Come avrebbe potuto scoprirlo Monroe?»
Bridges emise un sospiro pesantissimo.
Lightman riportò l'attenzione su lui.
«Glielo ripeto, professore, sta sprecando il suo tempo.» Lightman gli puntò di nuovo contro la pistola. Videro tutti che gli tremava la mano. A Laura tornò in mente la visita all'ufficio di Lightman alla Bodleiana, una settimana prima. Ricordò lo strano attrezzo che usava per alleviare i dolori dell'artrite. Ma non poteva fare niente. Le sue mani erano talmente strette dal nastro isolante che quasi non sentiva più le dita.
Lightman spostò il revolver nella sinistra. La destra gli ricadde lungo il fianco e lui la scrollò. Probabilmente lo stava facendo soffrire.
«Sai, Malcolm...» La voce del professore tremò leggermente. «Comincio a stancarmi di sentirti ripetere le stesse cose.» Sollevò la pistola all'altezza della fronte di Bridges. Lentamente, quasi sensualmente, accarezzò la faccia di Bridges col freddo metallo. Mosse la bocca dell'arma lungo la pelle, lasciando segni bianchi. «Siamo talmente fragili, no?» sussurrò.
Abbassò, lento, l'arma fino a pochi centimetri sopra il petto della vittima, poi la lasciò scorrere lungo entrambe le braccia: braccio sinistro, braccio destro. La riportò sul torso di Bridges, la fece scendere all'inguine, la lasciò lì qualche secondo. Seguì con la bocca della pistola la gamba destra di Bridges, la sinistra. Arrivato al ginocchio, si fermò un istante. Studiò la gamba, inclinò leggermente la testa di lato, concentrato. «Così fragili.» Puntò gli occhi gelidi in quelli di Malcolm Bridges e sparò.
Il suono echeggiò enorme nella stanza, rimbalzando da parete a parete. Il proiettile spappolò il ginocchio di Bridges. Lui urlò, si contorse spasmodicamente, sbatté con estrema violenza contro la struttura metallica del pentacolo.
Il viso di Lightman era illeggibile. Ignorò gli spasmi del corpo di Bridges e spostò l'attenzione su Laura e Philip. Erano entrambi paralizzati dallo choc.
«Come ho già detto, ho molte cose da fare», borbottò il professore.
Dall'ingresso della camera giunse un colpo di tosse. Sulla soglia c'era l'ispettore capo Monroe, fiancheggiato da due agenti in uniforme.
Indossavano caschi e giubbotti antiproiettile. Tenevano le pistole puntate su Lightman. «Non si muova! Abbassi l'arma», ordinò Monroe.
Lightman guizzò sulla destra e afferrò Laura per i capelli. Lei urlò di dolore. Lightman le avvicinò la bocca del revolver alla tempia destra e precisò: «Io credo che dovreste essere voi ad abbassare le armi. Odio sporcare».
La mente di Laura era in subbuglio. Rifiutava di lasciarsi prendere dal panico. Il panico non avrebbe migliorato la situazione e di certo non avrebbe aiutato Jo. Monroe e i suoi due uomini entrarono nella stanza. In risposta, Lightman premette con forza molto maggiore la bocca del revolver contro la tempia di Laura, scatenandole ondate di dolore nella testa.
Senza riflettere a fondo su quel che faceva, Laura girò di scatto la testa e si scaraventò contro una delle aste metalliche del pentacolo. Provò un'altra ondata di dolore, ma i risultati dovettero essere decisamente peggiori per Lightman, che si trovò con le dita schiacciate tra il metallo e la nuca di Laura.
Strillò, tentò di liberare la mano e perse l'equilibrio. Agli uomini della polizia non occorreva altro. Ci furono due esplosioni. Lightman crollò sul pavimento, stringendosi il petto.
Monroe attraversò il locale in un istante. Quando raggiunse il pentacolo arrivarono altri due agenti in uniforme.
«Jones, portami il kit da paramedico», urlò Monroe.
Un agente corse al corpo di Lightman.
«Assistenza immediata per quest'uomo.» Monroe indicò Bridges.
«Riportatelo in superficie e chiamate l'ambulanza mentre risalite, non appena avrete il segnale.» Si girò verso Laura e Philip. «Voi due state bene?» Il viso di Laura era esangue. Il suo intero corpo era scosso dai tremiti.
«Jo... Deve salvare Jo», ansimò.
Monroe era confuso. «Cosa...»
«Jo è l'ultima vittima.» La voce di Philip era incrinata.
«Nostra figlia. Dev'essere a casa mia, a Woodstock. L'assassino sta andando da lei.» Monroe non esitò. «Harcourt, Smith», urlò ai due agenti che erano entrati nella stanza con lui. «Dobbiamo tornare immediatamente in superficie.» Si voltò verso Philip. «Qual è l'indirizzo?»
«Somersby Cottage, Ridley Street. È una trasversale di High Street. La seconda dopo l'ufficio postale.»
«Avvertite tutte le unità. Estrema cautela», abbaiò Monroe. «Il sospetto è armato ed estremamente pericoloso.» Girò dietro il pentacolo e tagliò il nastro isolante. Laura e Philip balzarono in piedi, massaggiandosi i polsi.
«Dobbiamo uscire da qui», ansimò Laura. Il cuore era un martello pneumatico nel suo petto.
«Siamo in grado di affrontare la situazione, signora», assicurò Monroe.
«Lo spero proprio. Però niente mi convincerà a restare qui.» Uno dei poliziotti inginocchiati a fianco di Lightman si rialzò. «È morto», annunciò.
Laura non si fermò nemmeno a dare un'occhiata al cadavere. Corse all'uscita, seguita da Philip e Monroe. Fatto qualche passo, Philip vide Bridges tentare di mettersi a sedere. Jones gli aveva stretto un laccio emostatico sopra il ginocchio e messo una maschera per l'ossigeno sulla faccia.
«Grazie», gli disse Philip, superandolo di corsa.
Monroe fece strada. Svoltò a sinistra, dietro un arco con un soffitto curvo, illuminato dai cristalli.
«Come siete riusciti a trovarci?» gli chiese Philip, senza rallentare il passo.
«Deve ringraziare il nostro amico Malcolm Bridges», rispose Monroe.
Impiegarono diversi minuti a raggiungere la superficie. Monroe dovette fermarsi ogni tanto, a controllare la mappa che gli aveva mandato Bridges.
I tunnel, tra curve e anse a gomito, risalivano gradualmente. Un percorso spossante, ma non potevano sprecare un solo secondo. Continuarono a procedere anche quando Monroe estrasse la radio. Una spia verde indicava la presenza di un segnale. Premette il pulsante di chiamata.
«Harcourt? Sei già in viaggio? Bene. Tutte le unità devono convergere su Woodstock. Okay. Il sospetto è un certo Julius Spenser. Di' a Smith di cercare informazioni mentre andate. Sappiamo che è un assassino perfettamente addestrato. Sarà ben armato.»
Correndo, avvertiva un dolore al petto ogni volta che inspirava. Era il momento di riprendere a frequentare la palestra.
«Vi raggiungeremo il più in fretta possibile. Fino al mio arrivo fungerà da supervisore Jenkins. È già partito.»
Superata l'ultima curva, si trovarono davanti una massiccia porta di quercia. Però non era necessario ricorrere a qualche codice di apertura: era spalancata. Monroe entrò per primo nell'ufficio di Lightman.
Attraversarono la stanza senza quasi guardarsi attorno, superarono due agenti posizionati nel corridoio successivo, e pochi secondi dopo emersero nell'aria gelida della sera. L'auto di Monroe era a due passi dall'ingresso principale. Philip e Laura balzarono sui sedili posteriori.
L'ispettore capo si mise al volante e partì, diretto a nord, verso Woodstock.
Alle loro spalle, le luci di un'ambulanza accostarono all'entrata della Bodleiana.
Woodstock, 30 marzo, mezzanotte
La casa era immersa nel buio quasi totale.
L'Accolito parcheggiò la Toyota nera sul retro del sentiero d'accesso che girava attorno alla casa. In cucina era accesa una luce. Proiettava un debole bagliore sul sentiero che correva sotto la finestra.
Lui sapeva che all'interno c'erano solo Tom e Jo.
Quasi tre ore prima aveva visto Laura e Philip scendere al percorso sotterraneo del Trill Mill, poi si era incontrato col Maestro, prima di ripartire per St Giles, diretto al college di Jo. L'aveva vista emergere dall'uscita centrale col suo ragazzo alle 22.45. Aveva seguito la loro automobile verso nord. Avevano lasciato la città, imboccato la strada per Woodstock. Arrivati lì, erano entrati in casa. L'Accolito si era fermato ad attendere in una stradicciola vicina.
Quello sarebbe stato il suo ultimo raccolto: il fegato di Jo Newcombe.
Eseguito l'incarico, si sarebbe affrettato a tornare a Oxford, dove lui e il Maestro avrebbero eseguito il rito. Entro il mattino la loro opera sarebbe stata completata.
Abbassò la maniglia della porta della cucina. Era chiusa a chiave.
Appoggiato a terra il contenitore d'organi, infilò la mano in una tasca del rivestimento di plastica, estrasse un attrezzo che somigliava a un lungo ago e lo inserì nella serratura. Un attimo dopo la porta era aperta. Entrò.
Udiva rumori venire da una stanza vicina. Era già stato lì ore prima e conosceva la disposizione della casa. Attraversò a passi felpati il soggiorno buio, arrivò alla porta che immetteva nel corridoio. La aprì con la massima cautela. In quella vecchia casa, tutto sembrava scricchiolare e cigolare. In corridoio sentì meglio i suoni che uscivano dal televisore, nel grande soggiorno direttamente di fronte. A sinistra c'era una stretta scala a chiocciola. Attraversò il corridoio. La porta del soggiorno era aperta di un minimo spiraglio. La spinse all'indietro sui cardini.
Una lampada era accesa nell'angolo a fianco della porta, ma la luce tremolante del televisore era l'unica illuminazione. Jo e Tom sedevano stretti sul divano, persi in un vecchio film. L'Accolito lanciò un'occhiata agli attori, immagini in bianco e nero: una coppia che si baciava dal finestrino di una carrozza ferroviaria, col vapore che ribolliva attorno a loro. Breve incontro, pensò. Perfetto.
Guardò l'orologio. Era il momento. Abbassò il contenitore d'organi sul pavimento con estrema attenzione e, in assoluto silenzio, estrasse il bisturi da una tasca della manica. La lama, lunga e orribilmente affilata, intercettò la luce, brillò per una frazione di secondo. L'Accolito avanzò di un passo, ma quando il suo piede si posò sul pavimento, una vecchia asse di legno scricchiolò. Jo e Tom si voltarono.
L'Accolito era veloce, ma Jo e Tom lo erano anche di più. Schizzarono via dal divano prima che l'Accolito facesse due passi. Jo urlò e si nascose dietro Tom, che impugnava una mazza da cricket. L'Accolito non si fermò.
Avanzò diritto verso di loro brandendo il bisturi. Jo era terrea, con gli occhi sgranati. Tom cercava disperatamente di non perdere la calma.
Assestò un colpo alla cieca all'Accolito. Lo mancò. Jo urlò di nuovo, abbrancò la camicia di Tom, la strappò. Insieme presero a indietreggiare verso la porta. L'Accolito grugnì e corse verso i due. Tom proiettò in avanti la mazza, che si abbatté sul braccio dell'Accolito. L'assassino ululò.
Il bisturi cadde a terra.
Jo e Tom avevano guadagnato un secondo. Guizzarono in corridoio. Jo afferrò la maniglia della porta d'ingresso e tirò. Chiusa a chiave. Imprecò.
«Di sopra», strillò Tom, spingendo la ragazza davanti a sé. Cominciò a indietreggiare verso la scala nel momento in cui l'Accolito emerse dal soggiorno. Adesso impugnava il bisturi nella sinistra. Il braccio destro gli pendeva inerte lungo il fianco. Tom riuscì a intravedere il volto sotto la visiera di perspex. Gli occhi erano cerchi neri privi d'espressione, il viso un'imitazione in cera di un essere umano.
Jo corse su per le scale. Tom la seguì a ruota. Fecero i gradini a due a due. Tom tentò di nuovo di colpire l'Accolito, che schivò la mazza con un guizzo agile.
Il legno colpì la ringhiera e la parete, fece schizzare via una scheggia di stucco.
«In camera da letto», urlò Tom quando raggiunsero il pianerottolo.
L'Accolito gli era quasi a fianco. Tom agitò di nuovo la mazza. Quella volta lo centrò alla spalla, un colpo di striscio che quasi non rallentò l'Accolito. Tom ritentò. Mancò il bersaglio. La mazza si infilò tra due sbarre della ringhiera, sfuggì alla sua presa. Nella frazione di secondo prima di mettersi a correre, guardò un'altra volta gli occhi dell'Accolito. Vi vide solo la propria morte.
Jo raggiunse la porta della camera da letto, entrò. Tom si lanciò in corridoio. Era in smagliante forma fisica, e veloce, ma l'inseguitore gli restò a non più di un passo di distanza. Jo tenne aperta la porta e la sbatté violentemente dopo che fu entrato Tom. L'Accolito, all'istante, si mise a spingerla con tutte le forze.
«Metti il catenaccio!» strillò Tom, facendo pressione sul legno con il peso del corpo. Jo riuscì a mettere il catenaccio all'ultimo secondo. Scossa dai brividi, sull'orlo dell'isteria, aveva un'espressione quasi folle, era pallida in modo innaturale.
L'Accolito prese ad assestare alla porta colpi con incredibile violenza.
Un pannello andò in frantumi. Jo urlò.
«Esci dalla finestra», le gridò Tom.
«Esci... salta... fai quello che vuoi...
Vattene da qui e basta.»
«Ma...»
«Esci!» Jo corse alla finestra. Tentò di aprire la serratura, ma il tremito delle mani era incontrollabile. Terrorizzata, riuscì ad aprire la finestra nell'istante in cui una mano coperta di plastica apparve nel vuoto lasciato nella porta dal pannello distrutto e tastò in cerca del catenaccio. Tom afferrò l'oggetto più vicino, un pesante vaso di vetro, e colpì le dita inguantate di plastica dell'Accolito. Fu una soddisfazione udire un grugnito smorzato da sotto la visiera. La mano scomparve.
Tom indietreggiò verso la finestra. La porta venne fracassata da un poderoso calcio. L'Accolito sapeva che il suo momento era passato, che la situazione astrologica era cambiata, ma ormai era guidato dalla pura sete di sangue. Si lanciò verso la giovane coppia.
Monroe svoltò da High Street in Ridley Street. Davanti a lui, tre auto della polizia, a luci spente. Spense anche le sue e proseguì.
Quattro uomini in tenuta antisommossa, con fucili ad alta potenza, stavano raggiungendo il lato della casa. Due guizzarono avanti e gli altri li coprirono.