Authors: Dante
come in lo specchio fiamma di doppiero
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vede colui che se n’alluma retro,
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prima che l’abbia in vista o in pensiero,
e sé rivolge per veder se ’l vetro
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
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con esso come nota con suo metro;
così la mia memoria si ricorda
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ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
un punto vidi che raggiava lume
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acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
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chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
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come stella con stella si collòca.
Forse cotanto quanto pare appresso
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alo cigner la luce che ’l dipigne
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quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
distante intorno al punto un cerchio d’igne
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si girava sì ratto, ch’avria vinto
e questo era d’un altro circumcinto,
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e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
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dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sì sparto
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già di larghezza, che ’l messo di Iuno
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intero a contenerlo sarebbe arto.
Così l’ottavo e ’l nono; e ciascheduno
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più tardo si movea, secondo ch’era
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in numero distante più da l’uno;
e quello avea la fiamma più sincera
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cui men distava la favilla pura,
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credo, però che più di lei s’invera.
La donna mia, che mi vedëa in cura
forte sospeso, disse: “Da quel punto
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depende il cielo e tutta la natura.
Mira quel cerchio che più li è congiunto;
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e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
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per l’affocato amore ond’ elli è punto.”
E io a lei: “Se ’l mondo fosse posto
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con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
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sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
ma nel mondo sensibile si puote
veder le volte tanto più divine,
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quant’ elle son dal centro più remote.
Onde, se ’l mio disir dee aver fine
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in questo miro e angelico templo
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che solo amore e luce ha per confine,
udir convienmi ancor come l’essemplo
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e l’essemplare non vanno d’un modo,
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ché io per me indarno a ciò contemplo.”
“Se li tuoi diti non sono a tal nodo
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sufficïenti, non è maraviglia:
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tanto, per non tentare, è fatto sodo!”
Così la donna mia; poi disse: “Piglia
quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;
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e intorno da esso t’assottiglia.
Li cerchi corporai sono ampi e arti
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secondo il più e ’l men de la virtute
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che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
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s’elli ha le parti igualmente compiute.
Dunque costui che tutto quanto rape
l’altro universo seco, corrisponde
per che, se tu a la virtù circonde
la tua misura, non a la parvenza
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de le sustanze che t’appaion tonde,
tu vederai mirabil consequenza
di maggio a più e di minore a meno,
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in ciascun cielo, a süa intelligenza.”
Come rimane splendido e sereno
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l’emisperio de l’aere, quando soffia
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Borea da quella guancia ond’ è più leno,
per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
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con le bellezze d’ogne sua paroffia;
così fec’ïo, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
E poi che le parole sue restaro,
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non altrimenti ferro disfavilla
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che bolle, come i cerchi sfavillaro.
L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
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ed eran tante, che ’l numero loro
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più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
Io sentiva osannar di coro in coro
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al punto fisso che li tiene a li
ubi
,
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e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
E quella che vedëa i pensier dubi
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ne la mia mente, disse: “I cerchi primi
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t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
Così veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
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e posson quanto a veder son soblimi.
e dei saper che tutti hanno diletto
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quanto la sua veduta si profonda
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nel vero in che si queta ogne intelletto.
Quinci si può veder come si fonda
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l’esser beato ne l’atto che vede,
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non in quel ch’ama, che poscia seconda;
e del vedere è misura mercede,
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che grazia partorisce e buona voglia:
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così di grado in grado si procede.
L’altro ternaro, che così germoglia
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in questa primavera sempiterna
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che notturno Arïete non dispoglia,
perpetüalemente
‘Osanna’
sberna
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con tre melode, che suonano in tree
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ordini di letizia onde s’interna.
In essa gerarcia son l’altre dee:
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prima Dominazioni, e poi Virtudi;
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l’ordine terzo di Podestadi èe.
Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
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e di giù vincon sì, che verso Dio
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tutti tirati sono e tutti tirano.
E Dïonisio con tanto disio
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a contemplar questi ordini si mise,
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che li nomò e distinse com’ io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
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onde, sì tosto come li occhi aperse
E se tanto secreto ver proferse
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mortale in terra, non voglio ch’ammiri:
ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse
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con altro assai del ver di questi giri.”
Quando ambedue li figli di Latona,
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coperti del Montone e de la Libra,
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fanno de l’orizzonte insieme zona,