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Authors: Sarah Langan

BOOK: Virus
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Non è mai sazia; la sua fame è implacabile
,
ricordò tra sé e sé, anche se non sapeva cosa significasse. Il suo riflesso gli strizzò l'occhietto, e lui trasalì. Era vivo, anche se era solo un riflesso.

«Chi sei?» domandò. «Vuoi giocare?»

Il bosco all'improvviso si fece più buio, come se stesse per piovere. Anche il riflesso si oscurò.
James
,
bisbigliò una voce. Il suono rieccheggiò tra gli alberi morti.

Lui si guardò intorno, ma non vide nessuno. Nei pantaloni sentì quello che suo fratello chiamava «un tirone». Secondo Danny doveva venirti quando guardavi le ragazze, ma a James veniva solo quando aveva paura o aveva fatto qualcosa di sbagliato. Se si sforzava di farlo andare via era peggio, così di solito si limitava a ignorarlo.

Voglio giocare con te, James.
La voce era liquida, come se fosse strisciata in superficie dal fondo del ruscello e non fosse abituata a stare all'aria aperta. Non si capiva se fosse una voce di uomo o di donna, e questo era doppiamente grave, perché voleva dire che anche la voce di un uomo gli faceva venire un tirone. Ma era più forte di lui.

Saltò sulla roccia e scrutò in direzione della voce. Si sollevò una brezza, e lui vide un sentiero. I rami delle betulle risuonarono aprendosi al suo passaggio. I rami erano appuntiti, come dita che gli indicassero la via. Gli fecero tornare alla mente un cartone che aveva visto in tv da piccolo: il bosco incantato che conduce Cappuccetto Rosso a casa della nonna.

Seguì il suono della voce lungo il sentiero. Lo condusse fino a una radura, e poi i rami si richiusero alle sue spalle con il medesimo tintinnio. Il cuore cominciò a battergli all'impazzata: non sarebbe mai riuscito a trovare la via del ritorno.

James
,
gorgogliò la cosa.

Non sentiva più le punture dei moschini. Non c'erano animali. Persino i vermi e il muschio e i funghi erano spariti. Forse era stata la cosa nel bosco a far loro del male. Questo poteva capirlo.

Il terriccio era nero come inchiostro di seppia, e il terreno caldo gli intiepidiva le dita dei piedi attraverso le suole di gomma delle Nike. Era lo stesso calore del fuoco che gli aveva riempito la pancia quando Gimpy era morto. Così gelido da essere incandescente, come se bruciasse al contrario.

Sapeva cosa doveva fare. Fu la voce a dirglielo. Raccolse una pietra aguzza e aprì la terra nera. Il vento si alzò un poco, poi si fece più forte. Adesso i rami tintinnavano come se lo xilofono dell'aula di musica fosse intossicato di caffeina: suoni stonati, fuori tempo.
Bravo, James, continua
,
disse la voce, solo che adesso non veniva più da fuori. Gli strisciava dentro. Gli serpeggiava nelle orecchie. Scrutava il bosco da dietro i suoi occhi. Gli venne voglia di piangere, e si schiaffeggiò la faccia. «Esci da lì!» gridò, anche se a una parte di lui piaceva.

Non nasconderti da me, James
,
disse.
Io ti conosco.
La voce sembrava la lingua di Gimpy, lo confortava e gli faceva il solletico. Gimpy gli mancava. Gli mancava qualcosa che lo toccasse. La cosa si mosse dentro di lui, e si annidò nello spazio tra le orecchie.

Io ti conosco, James, ma a me piaci lo stesso
,
disse. James sorrise, perché nella sua mente la cosa gli mostrò un'immagine di Gimpy che si contorceva, e lui capì che la cosa non stava mentendo.

Smise di schiaffeggiarsi e riprese a scavare. Il terreno tra le sue dita era caldo e nero come inchiostro. Era strano, sembrava cotto. Ne sollevò una manciata, poi un'altra. La buca si ingrandiva. Scavò a lungo. Scavò fino a sentire dolore dappertutto, ma anche allora non smise, finché provò dolori nuovi e peggiori.

Scavò malgrado il dolore alla schiena, il dolore alle gambe e alle dita sanguinanti. Scavò malgrado il fiato grosso, ben oltre il punto in cui riusciva a ricordare cosa stesse facendo, o perché. La voce lo cullava, come gli stesse rimboccando le coperte in un letto tiepido. Non gli parlava più, ma la avvertiva dentro di sé. Pensò a Gimpy, alla famiglia, alla signorina Lois, che il primo giorno di scuola non avrebbe dovuto chiedergli: «Vedo che sei più grande dei tuoi compagni, James. Significa che hai bisogno di un sostegno particolare?». E poi, dopo un po', non pensò più a niente. Tutto si fece oscuro. Sprofondò nel sonno anche se era sveglio, proprio come quella volta con Gimpy. E ancora non smetteva di scavare.

Si svegliò che era buio, e qualcuno gridava il suo nome. Si trovava all'interno di una buca profonda, e scavava. Come si era potuto fare tanto tardi così in fretta? Solo cinque minuti fa il sole era alto nel cielo. Ora c'erano le stelle. Aveva le mani insanguinate, e la schiena e le gambe gli facevano così male che non riusciva a piegarsi senza lasciarsi sfuggire un gemito. Da quanto tempo scavava?

«James!» gridò una voce da lontano. Che fosse il suo nuovo amico? La voce sembrava arrabbiata. «Mi senti, James?» gridò di nuovo, e il suono lo terrorizzò, perché adesso la riconosceva. La signorina Lois era tornata a cercarlo. Solo che questa volta si era portata appresso suo padre. Miller Walker lo chiamava attraverso un megafono: «Vieni fuori immediatamente!».

James fece un respiro profondo. Aveva il torace così infiacchito che gli facevano male i polmoni. Una morsa di spasmi muscolari gli strinse il dorso finché non tornò a curvare la schiena. Gli facevano male soprattutto le dita insanguinate, e ci soffiò sopra per distogliere la mente dal dolore.

Dentro di lui un occhio spalancò le palpebre, e osservò.
Continua a scavare, James
,
gli disse.
Io ti conosco, e ti darò quello che vuoi.
Sì, pensò James. La cosa sapeva la verità. Sapeva che aveva ucciso il suo coniglio.

Sollevò un'altra manciata di terra. E poi un'altra. Forse là sotto c'era Gimpy, ad aspettare che lui cancellasse la cosa cattiva che aveva fatto. Se James si fosse dato abbastanza da fare, forse poteva riuscirci. Certo, sapeva che era impossibile. Ma d'altra parte, dicevano che il bosco fosse magico.

Tutto d'un tratto dalla terra si levò un odore cattivo. Come di uova marce. Uscì con uno sbuffo di nebbia dalla buca, e riempì il bosco. E lui però continuava a scavare. Dopo un'altra manciata, toccò qualcosa di duro e caldo. Lo ripulì dal terriccio fino a riuscire a liberarlo.
Ben fatto, ragazzo!
disse la voce, e lui sorrise, perché sembrava orgogliosa di lui.

Era qualcosa di bruno e duro. Più leggero di un sasso. Più lungo di un righello. La lasciò cadere sul terreno fuori dalla buca perché gli faceva male alle mani come il morso dei geloni. Un osso, comprese infine. L'osso della zampa di un animale. No, non di Gimpy. Troppo grosso per essere di Gimpy. Puzzava tanto da fargli lacrimare gli occhi.
Tutto quello che desideri è qui, James
,
disse la voce, e James capì che non gli importava più di Gimpy. Voleva la cosa che era sepolta lì sotto. Voleva vedere la faccia dietro la voce.

Suo padre gridava ancora nel megafono, ma lui sapeva che era troppo tardi per tornare indietro. La signorina Lois non lo avrebbe mai perdonato. E poi, da quando l'avevano bocciato, Miller Walker aveva smesso di guardarlo negli occhi, e di dirgli
bravo, figliolo.
Riprese a scavare, e tirò fuori un altro osso.

I crampi gli irrigidivano le dita in una specie di pugno. Aveva così tanta sete da non riuscire più a muovere la lingua. Aveva perso un'unghia. Gli si era strappata dall'indice e non se n'era nemmeno accorto. C'erano altre ossa. Le ripulì lungo i margini fino a riuscire a liberarle. Il sangue gli sgocciolava dalle dita mentre estraeva le ossa dalla terra nera e le riponeva fuori dalla fossa. C'erano un teschio e le dita di un piede. Sorrise. Il teschio era umano.

Dispose le ossa in un mucchietto rossastro. Ora sanguinava parecchio. Sulle mani e sulle braccia aveva graffi che non ricordava di essersi procurato. Si era alzato il vento. Gli alberi morti stridettero gli uni contro gli altri finché il suono non sembrò più musica, ma grida.

Il sudore gli colava dalla fronte, e aveva la faccia immobile come una maschera di gesso. Il suo sangue era sgocciolato sulle ossa. Le aveva striate di rosso. Non faceva male. Dentro di sé, per gran parte, dormiva. Sentiva qualcosa di caldo nei pantaloni. Un altro tirone? No, non un tirone. Se l'era fatta addosso.

Vide, e fu sorpreso di non essersene accorto prima, che lungo i margini della radura c'erano animali morti: puzzole, scoiattoli, uccelli e cervi. Le loro carcasse erano stipate tutto intorno al perimetro come legna accatastata. Era stata la cosa sepolta. Era entrata nelle loro teste e aveva ordinato loro di aggredirsi l'un l'altro perché da sotto terra potesse nutrirsi del loro sangue. Non era inchiostro quello che anneriva la terra.

James provò l'emozione sbagliata. Era più forte di lui. Applaudì con le mani insanguinate e scoppiò a ridere.

C'è tutto quello che vuoi
,
promise la cosa, e James capì che era vero. Con gli occhi della mente vide i corpi massacrati dei suoi genitori. Con gli occhi della mente vide che il ritardato era suo fratello Danny, mentre James sedeva sul trono della famiglia Walker.

Dal bosco sbucò un procione. Aveva le fauci scoperte, e gli occhi neri. Ne vennero altri. I corpi obesi rendevano innaturale la loro andatura, mentre si facevano sempre più vicini. Ciondolavano sulle zampette corte come se fossero malati, e puzzavano tanto che lui si chiuse la bocca con le mani maciullate e smise di respirare.

Sono impazziti
,
pensò,
proprio come me.

Capì ciò che stava per succedere. La cosa glielo sussurrò in un orecchio. Se fosse stato un ragazzino sano di mente forse sarebbe scappato. I procioni barcollanti cominciarono dai suoi piedi. Il suo sangue zampillò, andò a bagnare le ossa, e lui pensò a Gimpy. Comprese allora, in quegli ultimi istanti, come si era sentito il suo coniglio.

 

Parte Seconda

INCUBAZIONE

 

 

3.

Scissione degli atomi

 

Il martedì mattina della scomparsa di James Walker, Meg Wintrob stava strisciando sotto le fondamenta di casa sua. Il ragazzo che le consegnava il
Corpus Christi Sentinel
aveva ancora una volta sbagliato mira, e lei si era messa carponi per andare a recuperarlo. Le sue anche cigolarono una protesta e lei si morse il labbro inferiore per il male. Borsite. Certo, si teneva in forma e si tingeva i capelli di nero corvino con l'aiuto del Miss Clairol, ma proprio queste cose le impedivano di dimenticare la sua mezza età.

Lo spazio a disposizione era alto circa cinquanta centimetri e si estendeva per tutta la lunghezza e larghezza della casa. Il
Sentinel
non era troppo fuori portata, ma quando i suoi occhi si adattarono all'oscurità riuscì a riconoscere anche il Sit'n'Spin perduto da suo figlio David quindici anni prima, un cespuglio che aveva tutta l'aria di essere una piantina di belladonna e una raccolta di vecchi numeri del
Sentinel
risalente a giorni, mesi, anni addietro. La brina si era accanita sul numero di quella mattina, e le pagine si erano incollate in un grumo fradicio. Scosse la testa di ricci neri e pensò: per una volta, per un solo stramaledetto anno, non potrebbero assumere un ragazzo delle consegne che non lanci come una femminuccia?

Si era trovata là sotto solo quattro o cinque volte. Era pieno di ragni, ne era certa. Proprio in quell'istante si sentiva incollata sulle guance una delle loro fitte ragnatele. Le travi di legno sembravano solide, e non c'era nemmeno una crepa nella base di cemento. Era tutto in ordine, una cosa rassicurante, pensò. Ma anche deludente.

Stringendo in una mano il giornale fradicio, Meg si girò sulla pancia e strisciò fuori. Muovendo i fianchi per raggiungere i gradini, sfiorò con la vestaglia di cotone il cespuglio di belladonna. Le foglie rilucevano come plastica. Non era allergica, ma sapeva che sarebbe stato meglio evitare il contatto. Ma d'un tratto un istinto come attendere l'ultimo minuto prima di lanciare una bottiglia di birra lungo la strada, le emerse dal profondo. Provò il bisogno di toccare le foglie, di strofinarci le dita, di leccarle. Di mangiare tutte le sue bacche velenose, solo per vedere cosa sarebbe successo. Così ne raccolse alcune, e se le infilò nella tasca della vestaglia.

Poi uscì e sedette sui gradini. La città, insieme alla sua famiglia, dormiva ancora. I raggi rosso-arancio dell'alba imminente filtravano nel suo giardino attraverso i rami fitti dei pini. In giro non c'era ancora né una macchina né un vicino. In casa, il caffè sul fornello aveva iniziato a filtrare. C'erano le uova da fare in camicia. Appuntamenti da fissare. In teoria, era una giornata piena di promesse.

Si sentiva depressa da quando, due settimane prima, suo figlio David era partito per frequentare il secondo anno di università a Los Angeles. Si schiariva i capelli e le sopracciglia, e indossava luccicanti collanine di corallo che lo facevano apparire...
grazioso.
Forse puntava a un look da surfista, o stava racimolando il coraggio per confessare ai genitori di essere gay. L'ipotesi corretta era la seconda, sospettava Meg. Fenstad non glielo aveva mai detto chiaramente, ma lei era convinta la ritenesse responsabile. Era stata troppo affettuosa, aveva trasformato suo figlio in un cocco di mamma. Fenstad faceva allusioni ogni volta che lei e David uscivano a fare una lunga passeggiata, si facevano il solletico a vicenda, o cucinavano insieme i biscotti. Entrava in cucina e sbarrava gli occhi come se lei e David fossero amanti, e lui li avesse sorpresi a scopare. Poi faceva un commento assurdo, del tipo: «Un uomo dovrebbe saper camminare con le proprie gambe», affermazioni alle quali né lei né David sapevano come reagire. A volte si comportava proprio da stronzo.

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