Paradiso (50 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Avete il novo e ’l vecchio Testamento,   

               
e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;

78
           
questo vi basti a vostro salvamento.

               
Se mala cupidigia altro vi grida,   

               
uomini siate, e non pecore matte,

81
           
sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida!   

               
Non fate com’ agnel che lascia il latte

               
de la sua madre, e semplice e lascivo

84
           
seco medesmo a suo piacer combatte!”

               
Così Beatrice a me com’ïo scrivo;   

               
poi si rivolse tutta disïante

87
           
a quella parte ove ’l mondo è più vivo.   

               
Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante   

               
puoser silenzio al mio cupido ingegno,

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che già nuove questioni avea davante;   

               
e sì come saetta che nel segno

               
percuote pria che sia la corda queta,

93
           
così corremmo nel secondo regno.

               
Quivi la donna mia vid’ io sì lieta,   

               
come nel lume di quel ciel si mise,

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che più lucente se ne fé ’l pianeta.

               
E se la stella si cambiò e rise,

               
qual mi fec’ io che pur da mia natura

99
           
trasmutabile son per tutte guise!

               
Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura   

               
traggonsi i pesci a ciò che vien di fori

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per modo che lo stimin lor pastura,

               
sì vid’ io ben più di mille splendori

               
trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:

105
         
“Ecco chi crescerà li nostri amori.”   

               
E sì come ciascuno a noi venìa,

               
vedeasi l’ombra piena di letizia   

108
         
nel folgór chiaro che di lei uscia.

               
Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia   

               
non procedesse, come tu avresti

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di più savere angosciosa carizia;

               
e per te vederai come da questi

               
m’era in disio d’udir lor condizioni,

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sì come a li occhi mi fur manifesti.

               
“O bene nato a cui veder li troni   

               
del trïunfo etternal concede grazia   

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prima che la milizia s’abbandoni,

               
del lume che per tutto il ciel si spazia   

               
noi semo accesi; e però, se disii

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di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia.”

               
Così da un di quelli spirti pii

               
detto mi fu; e da Beatrice: “Dì, dì   

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sicuramente, e credi come a dii.”

               
“Io veggio ben sì come tu t’annidi   

               
nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,

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perch’ e’ corusca sì come tu ridi;

               
ma non so chi tu se’, né perché aggi,   

               
anima degna, il grado de la spera

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che si vela a’ mortai con altrui raggi.”   

               
Questo diss’ io diritto a la lumera   

               
che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi

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lucente più assai di quel ch’ell’ era.

               
Sì come il sol che si cela elli stessi

               
per troppa luce, come ’l caldo ha róse

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le temperanze d’i vapori spessi,

               
per più letizia sì mi si nascose

               
dentro al suo raggio la figura santa;

               
e così chiusa chiusa mi rispuose   

139
         
nel modo che ’l seguente canto canta.

PARADISO VI

               
“Poscia che Costantin l’aquila volse   

   

               
contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio   

3
             
dietro a l’antico che Lavina tolse,

               
cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio   

   

               
ne lo stremo d’Europa si ritenne,

6
             
vicino a’ monti de’ quai prima uscìo;

               
e sotto l’ombra de le sacre penne   

               
governò ’l mondo lì di mano in mano,   

9
             
e, sì cangiando, in su la mia pervenne.

               
Cesare fui e son Iustinïano,   

               
che, per voler del primo amor ch’i’ sento,   

12
           
d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano.

               
E prima ch’io a l’ovra fossi attento,   

               
una natura in Cristo esser, non piùe,

15
           
credea, e di tal fede era contento;

               
ma ’l benedetto Agapito, che fue

               
sommo pastore, a la fede sincera

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mi dirizzò con le parole sue.

               
Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,   

               
vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi

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ogne contradizione e falsa e vera.

               
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,   

               
a Dio per grazia piacque di spirarmi

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l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;

               
e al mio Belisar commendai l’armi,   

               
cui la destra del ciel fu sì congiunta,

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che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.

               
Or qui a la question prima s’appunta

               
la mia risposta; ma sua condizione

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mi stringe a seguitare alcuna giunta,   

               
perché tu veggi con quanta ragione   

               
si move contr’ al sacrosanto segno

33
           
e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.

               
Vedi quanta virtù l’ha fatto degno   

   

               
di reverenza; e cominciò da l’ora   

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che Pallante morì per darli regno.

               
Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora   

               
per trecento anni e oltre, infino al fine

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che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.

               
E sai ch’el fé dal mal de le Sabine   

               
al dolor di Lucrezia in sette regi,

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vincendo intorno le genti vicine.

               
Sai quel ch’el fé portato da li egregi   

               
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,

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incontro a li altri principi e collegi;   

               
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro   

               
negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi   

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ebber la fama che volontier mirro.   

               
Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi   

               
che di retro ad Anibale passaro

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l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.

               
Sott’ esso giovanetti trïunfaro   

               
Scipïone e Pompeo; e a quel colle

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sotto ’l qual tu nascesti parve amaro.   

               
Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle   

   

               
redur lo mondo a suo modo sereno,

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Cesare per voler di Roma il tolle.

               
E quel che fé da Varo infino a Reno,

               
Isara vide ed Era e vide Senna

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e ogne valle onde Rodano è pieno.

               
Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna   

               
e saltò Rubicon, fu di tal volo,

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che nol seguiteria lingua né penna.

               
Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,

               
poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse   

66
           
sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo.

               
Antandro e Simeonta, onde si mosse,

               
rivide e là dov’ Ettore si cuba;

69
           
e mal per Tolomeo poscia si scosse.   

               
Da indi scese folgorando a Iuba;

               
onde si volse nel vostro occidente,

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ove sentia la pompeana tuba.

               
Di quel che fé col baiulo seguente,   

               
Bruto con Cassio ne l’inferno latra,   

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e Modena e Perugia fu dolente.   

               
Piangene ancor la trista Cleopatra,   

               
che, fuggendoli innanzi, dal colubro

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la morte prese subitana e atra.

               
Con costui corse infino al lito rubro;   

               
con costui puose il mondo in tanta pace,   

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che fu serrato a Giano il suo delubro.   

               
Ma ciò che ’l segno che parlar mi face   

               
fatto avea prima e poi era fatturo

84
           
per lo regno mortal ch’a lui soggiace,

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