Paradiso (47 page)

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Authors: Dante

BOOK: Paradiso
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Ma ditemi: che son li segni bui

               
di questo corpo, che là giuso in terra

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fan di Cain favoleggiare altrui?”   

               
Ella sorrise alquanto, e poi “S’elli erra   

               
l’oppinïon,” mi disse, “d’i mortali

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dove chiave di senso non diserra,

               
certo non ti dovrien punger li strali

               
d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi

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vedi che la ragione ha corte l’ali.

               
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi.”   

               
E io: “Ciò che n’appar qua sù diverso   

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credo che fanno i corpi rari e densi.”

               
Ed ella: “Certo assai vedrai sommerso   

               
nel falso il creder tuo, se bene ascolti

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l’argomentar ch’io li farò avverso.

               
La spera ottava vi dimostra molti   

   

               
lumi, li quali e nel quale e nel quanto

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notar si posson di diversi volti.

               
Se raro e denso ciò facesser tanto,

               
una sola virtù sarebbe in tutti,

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più e men distributa e altrettanto.

               
Virtù diverse esser convegnon frutti

               
di principi formali, e quei, for ch’uno,

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seguiterieno a tua ragion distrutti.

               
Ancor, se raro fosse di quel bruno   

   

               
cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte

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fora di sua materia sì digiuno

               
esto pianeto, o, sì come comparte

               
lo grasso e ’l magro un corpo, così questo

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nel suo volume cangerebbe carte.

               
Se ’l primo fosse, fora manifesto

               
ne l’eclissi del sol, per trasparere

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lo lume come in altro raro ingesto.

               
Questo non è: però è da vedere

               
de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,   

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falsificato fia lo tuo parere.

               
S’elli è che questo raro non trapassi,

               
esser conviene un termine da onde

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lo suo contrario più passar non lassi;

               
e indi l’altrui raggio si rifonde

               
così come color torna per vetro

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lo qual di retro a sé piombo nasconde.

               
Or dirai tu ch’el si dimostra tetro   

               
ivi lo raggio più che in altre parti,

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per esser lì refratto più a retro.

               
Da questa instanza può deliberarti   

               
esperïenza, se già mai la provi,

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ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.

               
Tre specchi prenderai; e i due rimovi

               
da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,

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tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.

               
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso

               
ti stea un lume che i tre specchi accenda

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e torni a te da tutti ripercosso.

               
Ben che nel quanto tanto non si stenda

               
la vista più lontana, lì vedrai

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come convien ch’igualmente risplenda.

               
Or, come ai colpi de li caldi rai   

               
de la neve riman nudo il suggetto

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e dal colore e dal freddo primai,

               
così rimaso te ne l’intelletto

               
voglio informar di luce sì vivace,

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che ti tremolerà nel suo aspetto.

               
Dentro dal ciel de la divina pace   

               
si gira un corpo ne la cui virtute

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l’esser di tutto suo contento giace.

               
Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,   

               
quell’ esser parte per diverse essenze,

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da lui distratte e da lui contenute.

               
Li altri giron per varie differenze   

               
le distinzion che dentro da sé hanno

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dispongono a lor fini e lor semenze.

               
Questi organi del mondo così vanno,   

               
come tu vedi omai, di grado in grado,

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che di sù prendono e di sotto fanno.

               
Riguarda bene omai sì com’ io vado   

               
per questo loco al vero che disiri,

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sì che poi sappi sol tener lo guado.

               
Lo moto e la virtù d’i santi giri,   

               
come dal fabbro l’arte del martello,

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da’ beati motor convien che spiri;

               
e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,   

               
de la mente profonda che lui volve

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prende l’image e fassene suggello.

               
E come l’alma dentro a vostra polve   

               
per differenti membra e conformate

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a diverse potenze si risolve,

               
così l’intelligenza sua bontate

               
multiplicata per le stelle spiega,

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girando sé sovra sua unitate.

               
Virtù diversa fa diversa lega   

               
col prezïoso corpo ch’ella avviva,

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nel qual, sì come vita in voi, si lega.

               
Per la natura lieta onde deriva,   

               
la virtù mista per lo corpo luce

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come letizia per pupilla viva.

               
Da essa vien ciò che da luce a luce   

               
par differente, non da denso e raro;

               
essa è formal principio che produce,

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conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro.”

PARADISO III

               
Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,   

   

               
di bella verità m’avea scoverto,   

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provando e riprovando, il dolce aspetto;

               
e io, per confessar corretto e certo   

               
me stesso, tanto quanto si convenne

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leva’ il capo a proferer più erto;

               
ma visïone apparve che ritenne   

               
a sé me tanto stretto, per vedersi,

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che di mia confession non mi sovvenne.

               
Quali per vetri trasparenti e tersi,   

               
o ver per acque nitide e tranquille,

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non sì profonde che i fondi sien persi,

               
tornan d’i nostri visi le postille

               
debili sì, che perla in bianca fronte

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non vien men forte a le nostre pupille;

               
tali vid’ io più facce a parlar pronte;

               
per ch’io dentro a l’error contrario corsi   

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a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.

               
Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,   

               
quelle stimando specchiati sembianti,

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per veder di cui fosser, li occhi torsi;

               
e nulla vidi, e ritorsili avanti

               
dritti nel lume de la dolce guida,

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che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.

               
“Non ti maravigliar perch’ io sorrida,”   

               
mi disse, “appresso il tuo püeril coto,

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poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,

               
ma te rivolve, come suole, a vòto:

               
vere sustanze son ciò che tu vedi,   

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qui rilegate per manco di voto.

               
Però parla con esse e odi e credi;   

               
ché la verace luce che le appaga

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da sé non lascia lor torcer li piedi.”

               
E io a l’ombra che parea più vaga   

               
di ragionar, drizza’mi, e cominciai,   

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quasi com’ uom cui troppa voglia smaga:

               
“O ben creato spirito, che a’ rai   

               
di vita etterna la dolcezza senti

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che, non gustata, non s’intende mai,

               
grazïoso mi fia se mi contenti

               
del nome tuo e de la vostra sorte.”

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Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:

               
“La nostra carità non serra porte   

               
a giusta voglia, se non come quella

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che vuol simile a sé tutta sua corte.

               
I’ fui nel mondo vergine sorella;   

               
e se la mente tua ben sé riguarda,   

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non mi ti celerà l’esser più bella,

               
ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,   

               
che, posta qui con questi altri beati,

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beata sono in la spera più tarda.   

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