In Other Words (34 page)

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Authors: Jhumpa Lahiri

BOOK: In Other Words
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Odio analizzare ciò che scrivo. Ma qualche mese dopo, un mattino mentre corro in villa Doria Pamphilj, mi viene in mente, tutto a un tratto, il significato di questo strano racconto: il golfino è la lingua.

LO SCAMBIO

C
'era una donna, una traduttrice, che voleva essere un'altra persona. Non c'era un motivo chiaro. Era sempre stato così.

Aveva degli amici, una famiglia, un appartamento, un lavoro. Aveva abbastanza soldi, godeva di buona salute. Aveva, insomma, una vita fortunata, di cui era grata. L'unica cosa che la affliggeva era quello che la distingueva dagli altri.

Quando pensava a ciò che possedeva, provava una mite repulsione, perché ogni oggetto, ogni cosa che le apparteneva, le dava prova della sua esistenza. Ogni volta che aveva un qualsiasi ricordo della sua vita passata, era convinta che un'altra versione sarebbe stata migliore.

Si considerava imperfetta, come la prima stesura di un libro. Voleva generare un'altra versione di se stessa, nello stesso modo in cui poteva trasformare un testo da una lingua a un'altra. A volte aveva l'impulso di rimuovere la sua presenza dalla terra, come se fosse un filo sull'orlo di un bel vestito, da tagliare via con un paio di forbici.

Eppure non voleva suicidarsi. Amava troppo il mondo, la gente. Amava fare lunghe passeggiate nel tardo pomeriggio
osservando ciò che la circondava. Amava il verde del mare, la luce del crepuscolo, i sassi sparsi sulla sabbia. Amava il sapore di una pera rossa in autunno, la luna piena e pesante d'inverno che brillava fra le nuvole. Amava il calore del suo letto, un buon libro da leggere senza interruzione. Per godere di questo, sarebbe vissuta per sempre.

Volendo capire meglio il motivo per cui si sentiva così, decise un giorno di eliminare i segni della sua esistenza. Tranne una piccola valigia, buttò o diede via tutto. Voleva vivere in solitudine, come un monaco, proprio per affrontare ciò che non riusciva a sopportare. Ai suoi amici, alla famiglia, all'uomo che la amava, disse che doveva andarsene per un po'.

Scelse una città in cui non conosceva nessuno, non capiva la lingua, dove non faceva né troppo caldo né troppo freddo. Portò un guardaroba quanto più semplice possibile, tutto in nero: un abito, un paio di scarpe, e un golfino di lana leggera, morbida, con cinque piccoli bottoni.

Arrivò mentre la stagione stava cambiando. Faceva caldo al sole, freddo all'ombra. Prese in affitto una camera. Camminava per ore, vagava senza meta, senza parlare. La città era piccola, piacevole ma priva di personalità, senza turisti. Sentiva i rumori, osservava la gente: chi andava in fretta al lavoro, chi era seduto sulle panchine, come lei, con un libro o con un cellulare, a prendere il sole. Quando aveva fame, mangiava qualche cosa seduta su una panchina. Quando era stanca, andava al cinema a vedere un film.

I giorni si facevano brevi, scuri. Pian piano gli alberi si spogliavano dei colori, delle foglie. La mente della traduttrice si svuotava. Cominciava a sentirsi leggera, anonima.
Immaginava di essere una foglia che cadeva, identica a ogni altra.

Di notte dormiva bene. Di mattina si svegliava senza ansie. Non pensava né al futuro, né alle tracce della sua vita. Sospesa nel tempo, come una persona senza ombra. Eppure era viva, si sentiva più viva che mai.

In una brutta giornata, piovosa, ventosa, si mise al riparo sotto il cornicione di un edificio in pietra. La pioggia scrosciava. Non aveva un ombrello, neanche un cappello. La pioggia colpiva il marciapiede, con un suono insistente, continuo. Pensava al viaggio che fa l'acqua, che da sempre cade dalle nuvole, penetrando nella terra, riempiendo i fiumi, arrivando, alla fine, al mare.

La strada era piena di pozzanghere, la facciata del palazzo di fronte a lei era coperta di annunci illeggibili. La traduttrice si accorse di varie donne che entravano e uscivano dal portone. Di tanto in tanto una di loro, da sola o in un piccolo gruppo, arrivava, premeva un campanello, poi entrava. Curiosa, decise di seguirle.

Oltre il portone si doveva attraversare un cortile in cui la pioggia era confinata, come se piovesse in una stanza senza soffitto. Si fermò un momento per guardare il cielo, anche se si bagnava. Più avanti c'era una scala, scura, un po' sconnessa, dove alcune signore scendevano, altre salivano.

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