Gai-Jin (111 page)

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Authors: James Clavell

Tags: #Fiction, #Action & Adventure

BOOK: Gai-Jin
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“Ci ho provato, capitano, ma... è stata lei a decidere.”

“Io sarò contento solo quando noi saremo nelle nostre caserme e loro tra le mura del palazzo, ma lo sarò ancora di più quando sia noi che loro saremo tornati a casa, al sicuro nel castello di Edo.”

“Sì” assentì il ciambellano, intimamente stanco dei suoi padroni, della petulanza e della puntigliosità con cui si lamentavano di tutto. Anche a lui doleva la schiena, anche lui avrebbe voluto un bagno, un massaggio, le attenzioni della sua giovane amica. Forse mi comporterei anch'io come lui, pensò, se fossi stato viziato dalla nascita e avessi solo sedici anni.

“Posso chiedervi qual è la parola d'ordine, capitano?”

“Fino a mezzanotte è “Arcobaleno blu”.” A duecento metri, alla periferia orientale del villaggio, c'era una vecchia fattoria diroccata addossata in fondo a un vicolo, non lontano dalla Tokaidò e dalla Barriera di Otsu. All'interno, il capo del gruppo d'assalto degli shishi, un giovane choshu di diciotto anni di nome Saigo, fissò torvo il fattore, sua moglie, i quattro bambini, il padre e la madre, il fratello e una cameriera che, ammassati in ginocchio in un angolo, lo guardavano pietrificati.

In quell'unica stanza vivevano, mangiavano, lavoravano e dormivano. Le magre galline nella gabbia appesa a una trave chiocciavano nervosamente. “Ricordate ciò che vi ho detto. Non sapete niente e non avete visto niente.”

“Sì, signore, certo, signore” piagnucolò il vecchio.

“Taci! Voltatevi tutti contro il muro e chiudete gli occhi. Bendatevi con le cinture!” Ubbidirono all'istante.

Saigo, alto, robusto e con un bel viso dai lineamenti marcati, indossava una corta casacca scura, pantaloni simili a quelli dei samurai della locanda e sandali di paglia, era senza armatura e aveva due spade.

Quando i contadini docilmente si furono bendati andò a prendere posto accanto alla porta e spiando all'esterno attraverso gli strappi della finestra di carta cominciò ad attendere.

Da quella posizione distingueva chiaramente la barriera e le baracche delle guardie. Il sole non era tramontato e la barriera era ancora aperta per i ritardatari. Saigo e i suoi uomini avevano impiegato molti giorni per trovare quel luogo ideale. La porta posteriore si affacciava su un dedalo di vicoli e sentieri, perfetto per una ritirata improvvisa.

Avevano fatto irruzione nella casupola nel pomeriggio, appena il corteo dello shògun aveva attraversato la barriera.

Si sentì un rumore di passi. Saigo mise mano alla spada ma subito si tranquillizzò. Il giovane shishi entrò silenziosamente, seguito da un compagno che giungeva dalla direzione opposta. Ora nella stanza erano in sette. Uno di loro era rimasto all'esterno a fare la guardia, un altro appostato allo sbocco del vicolo sulla Tokaidò.

Il gruppo comprendeva anche un undicesimo uomo, nascosto nel villaggio, incaricato di cavalcare immediatamente fino a Kyòto per comunicare il felice esito dell'azione a Katsumata, che subito avrebbe ordinato l'attacco contro Ogama e le Porte. Avevano tutti un'età compresa tra diciannove e ventidue anni, a eccezione del capo, diciottenne, e del suo secondo, Tora, che aveva un anno meno di lui. Provenivano dal rango dei goshi, il livello più basso dei samurai, ma adesso erano ronin.

Nessuno di loro indossava l'armatura o nulla che ne consentisse l'identificazione. Dagli strappi della finestra entrò una folata di vento che, tesi com'erano, li fece tremare.

A gesti, Saigo invitò tutti a controllare le spade, gli shuriken e le altre armi letali. Nel corso dell'intera operazione, pianificata per quanto possibile nei giorni precedenti, non ci sarebbe stato bisogno di usare le parole, avrebbero agito in silenzio. Saigo diede uno sguardo fuori dalla finestra. Il sole sfiorava l'orizzonte, il cielo era sereno. Il momento era giunto.

Si inchinò solennemente e tutti ricambiarono.

Poi si rivolse ai contadini. “Fuori ci saranno tre uomini” disse con durezza. “Il minimo movimento da parte vostra durante la mia assenza e daranno immediatamente fuoco alla fattoria.”

Il vecchio piagnucolò.

Saigo fece segno agli altri di seguirlo. Il giovane di guardia all'esterno e quello sull'angolo del vicolo si aggregarono. L'azione senza ritorno aveva inizio. Chi tra loro era buddista aveva recitato un'ultima preghiera davanti a un altare, chi era scintoista aveva acceso un bastoncino di incenso e unito la propria anima al filo di fumo, simbolo della fragilità della vita.

Tutti avevano scritto la poesia di morte, apponendovi con fierezza il nome del feudo di origine e un nome falso, e se l'erano cucita sul bavero della casacca.

Nel vicolo si divisero a coppie e si incamminarono in direzioni diverse.

Presto raggiunsero le rispettive postazioni nei pressi del recinto posteriore della locanda, dalle quali potevano vedersi l'un l'altro, e si accucciarono nell'erba alta e nella fitta vegetazione spontanea. Saigo si appostò all'angolo sud-orientale.

Il recinto era alto tre metri, costruito con robuste canne di bambù giganti dalle punte affilate. Nella luce dell'imbrunire le ombre si dissolvevano.

Si disposero all'attesa.

Nei loro petti il cuore batteva forte, le mani sudavano, ciascuno sentiva uno strano, intenso sapore in bocca e una fitta all'inguine. Il minimo fruscio poteva segnalare la loro presenza a un drappello nemico. Dalla sterpaglia si levò l'insistente canto di accoppiamento di un grillo, che ricordò a Saigo la sua poesia di morte:

Il grillo che canta di gioia morirà presto.

Meglio la gioia della tristezza.

 

Gli occhi di Saigo si velarono, come il cielo. Era molto bello essere così felice e così triste allo stesso tempo.

Dall'interno del recinto giungevano le voci degli inservienti, delle cameriere, di tanto in tanto quella di un samurai e, dalla cucina non lontana, un rumore di piatti di metallo.

In lontananza si udiva un cantante accompagnato da un samisen. L'attesa si prolungava.

Il volto di Saigo era rigato dal sudore. Poi sentì il fruscio appena percettibile di un kimono e una voce di ragazza che sussurrava: “Arcobaleno blu... arcobaleno blu”. Ancora silenzio, interrotto solo dai suoni provenienti dalla locanda.

Subito fece un cenno a Tora, alle sue spalle. Il giovane raggiunse velocemente gli altri, passò loro la parola d'ordine e tornò al suo posto. Al segnale di Saigo ogni coppia prese la scala che aveva costruito e nascosto perfettamente nella vegetazione, e l'appoggiò contro il recinto. Saigo scrutò ancora il cielo.

Quando l'ultimo raggio di sole svanì diede un nuovo segnale, e come un sol uomo tutti scavalcarono il recinto e saltarono sul terreno soffice e dissodato accovacciandosi immobili tra gli arbusti ben curati, pronti all'attacco.

Miracolosamente l'allarme non era stato dato. Sollevarono cautamente lo sguardo. Davanti a loro, a sessanta metri, dietro l'alta siepe di abeti, si vedevano i tetti di paglia degli appartamenti dello shògun e quelli del padiglione del bagno, un pò più alti. L'ingresso principale, con le porte ancora aperte, era molto lontano.

Tutto era esattamente come avevano previsto, salvo la presenza di un numero di guardie molto superiore. Sentirono tutti in bocca un gusto amaro di bile.

Anche le cucine alla loro destra, piene di calderoni fumanti e di personale, erano protette dalle guardie. A sinistra e nei giardini silenziosi attraversati da ponti e ruscelli erano disseminate le casette degli ospiti, alle quali si accedeva lungo sentieri ben tenuti che serpeggiavano tra gli arbusti. Erano immerse nel silenzio, illuminate solo da una lanterna sulla veranda.

Gli shishi vennero assaliti dall'angoscia perchè si aspettavano che fossero abitate, prevedendo di utilizzarle come copertura e per creare una necessaria diversione.

Karma, pensò Saigo. Comunque sia, le nostre posizioni sono quelle previste, quelle dei nostri nemici anche, il piano è buono e conosciamo la parola d'ordine.

Nelle due settimane precedenti, travestito come un normale samurai in viaggio, aveva avvicinato una cortigiana e ne aveva risvegliato i più teneri sentimenti, ottenendo di farsi accompagnare di nascosto nei vari spazi interni della locanda, persino nel settore destinato al riposo degli Onorevoli Ospiti.

“Perché no?” le aveva sussurrato. “Chi mai lo verrà a sapere? Arriveranno solo tra due giorni. E tu sei bellissima. Congiungiamoci nella stanza dove si congiungeranno lo shògun e la sorella del Figlio del Cielo, non ti sembra una bella favola da raccontare ai nostri nipotini? Non potrò mai più lasciarti...”

Poi, con la medesima facilità, aveva convinto una cameriera del padiglione del bagno, in segreto fanatica sostenitrice degli shishi, a origliare la parola d'ordine. “Che rischio vuoi che sia ascoltare e sussurrare qualche parola nella notte...” le disse.

Tora gli toccò un braccio e indicò spaventato i cancelli lontani. Il drappello di samurai si accingeva a fare la ricognizione dell'intero perimetro.

Le loro lanterne lasciavano cadere sul terreno dischi di luce. Il drappello sarebbe inesorabilmente passato anche dal punto in cui si trovavano, a pochi passi. Saigo, imitando il richiamo di un uccello notturno, diede l'ordine.

Si accucciarono nel folto, abbassarono la testa e trattennero il respiro. Il drappello si avvicinò e li superò senza vederli, proprio come aveva previsto Katsumata quando aveva illustrato il piano d'attacco: “All'inizio sarete protetti dal buio. Ricordate che avete dalla vostra la sorpresa.

Chi si aspetterebbe un'incursione, chi attaccherebbe mai lo shògun quand'è circondato da tanti uomini? In transito in una locanda? Impossibile!

Ricordate, da una posizione nascosta, sfruttando la sorpresa e l'estrema velocità, due o tre di voi, ma ne basterebbe anche uno solo, raggiungeranno sicuramente il bersaglio”.

Vedendo che i nemici si allontanavano, Saigo fu colto da un moto di sollievo e di rinnovata fiducia.

Non appena il drappello nemico svoltò l'angolo, fece segno al primo gruppo d'assalto di raggiungere le postazioni stabilite. Riparandosi dietro i cespugli, quattro uomini si allontanarono scivolando alla sua destra e altri due alla sua sinistra. Quando furono ai loro posti, Saigo inspirò a fondo per rallentare il battito del cuore, poi diede l'ordine di cominciare l'azione imitando di nuovo il richiamo di un uccello notturno.

I due shishi all'estrema destra uscirono dai cespugli, si aggiustarono la cintura dei pantaloni e si avviarono sul sentiero tenendosi abbracciati come amanti. Le guardie accanto alla siepe vicino a loro li notarono dopo qualche secondo.

“Voi due, alto là!” I due giovani ubbidirono, uno di loro gridò: “Arcobaleno blu, arcobaleno blu, signor sergente”. Si misero a ridere, fingendo di vergognarsi di essere stati sorpresi, e subito ripresero a passeggiare mano nella mano.

“Alt! Chi siete?”

“Ah, spiacente, siamo solo amici che si godono una passeggiata notturna” rispose il giovane con voce dolcissima e gentile. “Arcobaleno blu, avete scordato la parola d'ordine?” Uno dei samurai rise.

“Se il capitano vi scopre a “passeggiare” nei cespugli qui intorno ve lo fa vedere lui l'arcobaleno blu e le vostre guance conosceranno tutt'altro genere di carezze!”

I due giovani finsero nuovamente di ridere e si allontanarono senza fretta, ignorando l'intimazione stridula di fermarsi. Infine il sergente gridò: “Voi due, venite qui subito!”. Si voltarono a guardarlo per un secondo e ribadirono che non stavano facendo niente di male. Approfittando della distrazione delle guardie Saigo e gli altri si erano spostati nelle posizioni definitive.

Eccitati per non essere stati notati, ma consapevoli che quella diversione presto sarebbe finita, si riposarono un momento. Saigo fischiò il suo richiamo da uccello notturno in modo da essere udito anche da lontano.

Senza esitare, i due giovani risero ancora e corsero via allegramente, mano nella mano, sfuggendo alle guardie come se giocassero. Inavvertitamente però entrarono in una zona illuminata e per la prima volta si resero visibili.

Con uno scatto d'ira il sergente si lanciò all'inseguimento con quattro uomini. Mentre le sentinelle appostate lontano, al cancello principale, scrutavano nell'oscurità per capire che cosa stesse accadendo, le guardie al recinto, in grado di vedere meglio, comunicarono l'allarme ai vicini. Tutti si misero all'erta.

I due shishi vennero velocemente circondati. Schiena contro schiena, con le spade pronte, alla raffica di domande opposero un immobile silenzio. Nel loro portamento e nelle espressioni feroci non vi era adesso più niente di effeminato.

Furibondo, il sergente si avvicinò di un passo. Il giovane davanti a lui si preparò, infilò con un gesto fulmineo la mano destra nella manica, ne estrasse lo shuriken e senza dargli il tempo di abbassarsi o spostarsi di lato gli scagliò l'anello di ferro a cinque punte in gola. Il sergente cadde rantolando, soffocato dal suo stesso sangue. Gli shishi si lanciarono all'attacco ma nessuno dei due riuscì a sfondare la barriera umana che li circondava.

Nonostante si difendessero con coraggio e fossero riusciti a ferire tre samurai, le guardie, molto superiori numericamente, prima o poi avrebbero avuto la meglio. Ma non sarebbero riusciti a disarmarli e a catturarli vivi, come era loro intenzione fare.

Uno dei due giovani fu colpito da una spada nella schiena e gridò, ferito gravemente, ma non ancora mortalmente. L'altro si precipitò per aiutarlo, fu colpito a sua volta e cadde a terra.

“Sonno-joi” mormorò.

Orripilato, il giovane fece un ultimo, disperato tentativo di ingaggiare la lotta con un assalitore, poi all'improvviso puntò la spada contro di sé e ci cadde sopra.

“Andate a chiamare il capitano” ansimò un samurai con il braccio sanguinante. Mentre una guardia si allontanava di corsa, i compagni si radunavano intorno ai corpi degli shishi e al sergente che, sebbene in fin di vita, vomitava ancora sangue. “Non possiamo fare niente per lui.

Non ho mai visto uno shuriken così veloce.” Qualcuno voltò i due cadaveri.

“Guardate, le poesie di morte! Si, sono proprio degli shishi... eeeh.

Due satsuma! Che pazzi.”

“Sonno-joi!” bisbigliò un altro. “Non è una follia.”

“E sicuramente una follia che tu lo dica forte” lo ammonì aspramente un ashigaru. “Se ti sentisse un ufficiale...”

“Ascolta, questi cani bastardi conoscevano la parola d'ordine, qui c'è un traditore!” Si scambiarono uno sguardo ancora più preoccupato.

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